sabato, Aprile 20, 2024

Adelante Petroleros di Maurizio Zaccaro: l’oro nero dell’Ecuador al Torino Film Festival 2013

IL FUTURO GIUSTO è quello in cui ogni popolo è sovrano delle proprie risorse naturali

La scritta di Mani Tese, ONG ONLUS che ha prodotto il film insieme alla FreeSolo Produzioni, chiude questo lavoro di Maurizio Zaccaro  girato per documentare uno di quei disastri ambientali di portata planetaria con cui conviviamo da troppi anni, spesso limitandoci a quella approssimativa informazione che i media ci forniscono di tanto in tanto. Che il cinema se ne occupi non è una novità, ma che il genere documentario stia conquistando uno spazio di rilievo anche nei festival più importanti fa ben sperare in una divulgazione più ampia e in una consapevolezza più che mai necessaria, anche se forse già molto tardiva.

Zaccaro non è nuovo al cinema d’impegno civile e sociale, e questa volta ha portato al TFF 2013 un documento attualissimo e sconvolgente sullo sfruttamento petrolifero di una delle zone più nevralgiche del pianeta, la foresta pluviale amazzonica nell’area ecuadoregna.
Per 75 minuti siamo messi di fronte ad immagini ed ascoltiamo parole che non possono  finire nel dimenticatoio del giorno dopo. L’Ecuador ha un parco naturale, lo Yasunì, tra i primi al mondo per indice di biodiversità, territorio ricco di riserve petrolifere, in particolare nel blocco ITT (Ishpingo-Tambococha-Tiputini).
Nel 2006, merito di una nuova Costituzione che riconosceva alla natura i suoi diritti, l’Ecuador aveva deciso di rinunciare allo sfruttamento dei suoi giacimenti petroliferi.Un accordo con le Nazioni Unite prevedeva la creazione di un fondo fiduciario che compensasse il mancato guadagno, raccogliendo in 12 anni la metà dei 7 miliardi e 200 mila dollari che avrebbe ricavato dallo sfruttamento di quei giacimenti. Rinunciando all’estrazione, al pianeta sarebbe stato risparmiato l’assorbimento di almeno 400 milioni di tonnellate di CO2. In cambio Rafael Correo, il Presidente della Repubblica, chiedeva il rispetto dell’impegno economico per il suo popolo, non certo tra i più ricchi del pianeta. Dei 3 miliardi e 600 milioni previsti, nel 2013 sono risultati disponibili solo poco più di 13 milioni (pari allo 0,37 per cento del totale).
Questo è il resoconto fatto dalla viva voce di Correo a reti unificate da Quito, il 15 agosto di quest’anno, un grido di denuncia che apre il documentario con tutta la forza e la disperazione di un popolo che è stato tradito.

El mundo nos ha fallado”, ma quel che è peggio è che il mondo sta continuando a tappe forzate a distruggere sé stesso.
Seguono immagini a cui non si riesce di abituarsi, pur avendo visto tante volte lo scempio che dell’Amazzonia l’uomo sta compiendo in vario modo.
La decisione di Correo di riprendere le estrazioni e riaprire i confini ai petroleros suona tremenda, diffusa com’è dalle onde dell’etere, ed è la sconfitta dell’umanità intera, non solo del suo popolo: lo sfruttamento petrolifero nel Parco Nazionale dello Yasuní dovrà riprendere perché le condizioni del suo popolo non permettono altrimenti. D’altra parte, questo segnerà anche la sua fine, in particolare quella di tante comunità insediate ancora in quel perimetro, condizionerà il destino di uomini abituati da millenni ad una convivenza fatta di rispetto delle leggi naturali e di bambini che vivono “come pesciolini” nell’acqua che, inevitabilmente, risulterà inquinata ed è già adesso oltre i livelli di guardia.
La parte ricca del mondo continua così a sfruttare la parte povera, e suona amara ironia quella di Alberto Acosta, ex ministro dell’energia e dell’industria mineraria del primo governo Correa: “… pensare di sfruttare lo Yasunì ITT, o meglio lo Yasunì in generale, senza provocare inquinamento, distruzione dell’ambiente e devastazione sociale, è come credere che Dracula è diventato vegetariano e che possiamo affidargli la direzione della banca del sangue”.

Zaccaro, con la collaborazione del giornalista Pino Corrias come reporter investigativo, sceglie di dar voce alla gente comune, agli abitanti della foresta, intervista esponenti di organizzazioni ambientaliste in lotta, filma momenti di vita di piante e animali nel profondo di un verde attraversato da oleodotti le cui tubature si rompono “tutti i mesi“, scaricando veleno nelle acque. Alberi secolari che affondano le radici in “piscine” di scarico di rifiuti tossici, mucchi colorati di farfalle nel fango, volo di corvi sullo sfondo di pozzi fiammeggianti pronti ad arrostirli, cantieri che squarciano le viscere di quella terra, “… grande, selvaggia, disordinata, lusssureggiante serra creata dalla natura, per sé stessa.” dicevaDarwin, occhi di indigeni che guardano in macchina come increduli, mentre dicono di non voler più lavorare per i petroleros, nonostante la loro miseria, ma di voler lavorare per costruire non per distruggere. E’ una guerra condotta con altri mezzi, quella che i potenti della terra continuano a dichiarare  e i deboli a combattere, ma certo sarà l’ultima.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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