sabato, Aprile 20, 2024

Der Bunker di Nikias Chryssos: la recensione

C’era una volta un’allegra famigliola (padre, madre, figlio) che abitava in un bunker nel cuore della foresta. Un bel giorno lo studente bussò alla loro porta. L’aspettavano. Lo studente aveva prenotato una stanza nel bunker per scrivere in santa pace la sua tesi sui massimi sistemi. E visto che a tavola consumava troppi tovaglioli di carta e chiedeva persino porzioni extra di canederli, i genitori del piccolo Klaus si consultarono con Heinrich e decisero che lo studente avrebbe potuto estinguere il proprio debito dando lezione al marmocchio. Gli avrebbe illustrato la crisi finanziaria e gli avrebbe inculcato nella zucca le capitali degli Stati di tutto il mondo. Cose che il piccolo Klaus avrebbe dovuto imparare prima o poi, destinato com’era a diventare presidente degli Stati Uniti. Ma un attimo… Heinrich chi è? Heinrich è un’entità aliena che parla con un vocione imperioso attraverso l’ulcera che mamma ha sulla coscia destra.

Passato nella sezione Perspektive Deutsches Kino dell’ultima Berlinale e più di recente al Fantasy Film Festival agostano sparpagliato su diverse città tedesche, “Der Bunker” è il film crucco che non t’aspetti. Unheimlich e spassoso fin dal logo della casa di produzione Kataskop (una mano con le falangette mozzate), il lavoro di Chryssos, classe 1978, è un viaggio allucinante in una dimensione parallela a “Eraserhead”, di cui conserva l’umorismo lunare e l’immersione a testa bassa in un modo a parte, sordo a ogni logica ma a suo modo coerente. La struttura narrativa è elementare: un equilibrio iniziale turbato dall’«ospite», che il finale ripristinerà scompigliando le carte.

Lynch, quindi? Lynch intinto in una sensibilità teutonica, disinteressato a violenza grafica e scene madri. Il miracolo di “Der Bunker” sta tutto nella capacità di funzionare a velocità costante, semmai qua e là rallentata fino a momenti di letterale ralenti e sincero sconcerto. Il cameraman Matthias Reisser sfrutta al meglio gli spazi angusti in cui è costretto il film, baloccandosi con colori saturi, mentre la musica di Leonard Petersen gioca con i nostri sentimenti a colpi di rombi e di droni. La tenuta complessiva è impeccabile.

Girato tra una vera casetta-bunker a Kleinmachnow, nei pressi di Berlino, e una foresta innevata nella quale s’annida davvero un vecchio bunker interrato con tanto di porticina e oblò, “Der Bunker” si regge anche sulle ottime performance di tutti e quattro gli attori. Fripan, di anni trentuno, interpreta il figlio ottenne e rincitrullito, vestito come un piccolo aiutante di Babbo Natale. Scheller e Bukowski, rispettivamente padre e studente, ingaggiano una surreal tenzone per chi la spara più grossa, finendo per risultare intercambiabili. Quanto a Oona von Maydell, le scene con «Heinrich» sono morbosità allo stato puro.

Parlando del nuovo Twin Peaks per interposta persona (Catherine Coulson), David Lynch ha usato la formula «real mystery». Ecco, Nikias Chryssos ha saputo confezionare un gioiello di «real mystery», imperniato più sul come che sul perché. “Der Bunker” è follia autentica, contagiosa, liberatoria, a volte di facile lettura (le schizofrenie della famiglia borghese, la violenza come sprone per la performance), il più delle volte solo intuibile osservando gli assurdi scarabocchi appesi al muro dallo studente, o assistendo a una serata trascorsa a leggere ad alta voce un libro di barzellette. Un film di culto in senso pieno, con una dote insolita per un film di culto: l’autodisciplina.

La Rubrica: Nuovo Cinema Tedesco. Oggi!

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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