venerdì, Aprile 19, 2024

Twin Peaks: una promessa mantenuta ( #damngoodcoffee )

Che ogni quarto di secolo accada qualcosa di liminale e sconquassante nella cittadina americana collocata nel «passaggio a nord-ovest» lo si sapeva fin dal 1988, quando Lynch e Frost stesero le prime pagine del pilot.

La serie avrebbe dovuto chiamarsi Northwest Passage, ma Lynch preferì un titolo che incorporasse l’elemento del doppio, inteso come doppelgänger. Per quanto di cime gemelle, a Twin Peaks, non se ne vedano, e i fan sfegatati di Russ Meyer abbiano a suo tempo sorriso col pensiero alla prima inquadratura di Mondo Topless (1966).

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Del pilot esistono due versioni dal montaggio, e dal minutaggio, radicalmente diversi. La prima è quella «europea», distribuita nel circuito home video già nel 1989. Dura 116 minuti e contiene per intero la sequenza nella Black Lodge che apparirà alla fine del secondo episodio. È la sequenza, celebre, di «Let’s rock», «I’ve got good news« e «That gum you like is going to come back in style», tutte frasi pronunciate da un Michael J. Anderson ipnotico e mefistofelico. Questa sequenza-clou di tutto il coté oscuro e irrazionale di Twin Peaks si apre con un’indicazione temporale spiazzante: Twenty-five years later…

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La seconda versione, della durata standard di 94 minuti, è quella che conosciamo tutti e che passò in tv per la prima volta nell’aprile del 1990.

I venticinque anni ritornano nell’ultimo episodio della seconda stagione, diretto in fretta e furia da un Lynch reduce da Cuore selvaggio e messo al muro dal network, che di Twin Peaks non ne voleva più sentir parlare. Nei primi minuti della lunga sequenza ambientata nella Loggia nera, Dale Cooper incontra di nuovo il piccolo «Man from Another Place» e Laura Palmer, la quale schiocca un dito – scena ripresa dal teaser della terza stagione – e formula una promessa: «I’ll see you again in 25 years». Col pensiero al pilot (o al secondo episodio), abbiamo la più classica delle composizioni ad anello.

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L’episodio 29 della serie (andato in onda il 10 giugno del 1991) ventiduesimo e ultimo della seconda stagione, è rimasto per ventitré anni una promessa non mantenuta fino in fondo. Prodotto «impossibile» per il mezzo televisivo, più vicino a The Grandmother o alle sperimentazioni web del Lynch anni Duemila, l’episodio #2.22 strapazzava trame, sottotrame e personaggi, tornava nella Loggia quasi per non volerci uscire più e alla fine iniettava in Dale Cooper il virus di Bob. Come sta Annie?

Ora Frank Silva non c’è più (è morto di Aids nel 1995, un anno prima dell’introduzione dei primi antiretrovirali efficaci), Jack Nance non c’è più, i fragili vecchini lynchiani degli anni Novanta non ci sono più… ma in compenso Everett McGill è ancora tra noi. E a lui Lynch ha twittato il primo indizio pubblico di un ritorno nel «suo» Peyton Place, il 13 agosto scorso, chiedendo in giro se qualcuno sapesse qualcosa sul suo conto.

I conti con le prime due stagioni e Fuoco cammina con me si sono chiusi pochi mesi fa con la pubblicazione dell’ennesimo maxicofanetto, The Entire Mystery, comprensivo delle famose scene tagliate dallo sfortunato film che costrinse Lynch a un lungo esilio dalla fama. Esilio mai del tutto annullato, semmai trasformatosi in seguito cultuale, hipster, trascendental-demenziale.

Con l’apparizione di un teaser di due minuti, montato in minuti venti, tutto questo appartiene di pacca al passato. Lynch ha gettato la spugna, accettando di fare l’unica cosa che tutti si aspettavano da lui. E l’attesa, signori miei, è già spasmodica. Perché non solo sono passati proprio venticinque anni, ma una terza stagione di Twin Peaks nel 2016, di nove episodi – parrebbe – tutti diretti dal genio di Missoula, rappresenta oggi, in piena New Golden Age della serialità televisiva, un trionfo di pop e autorialità (mai) visti. Persino chi auspicava un Top of the Lake lynchiano è stato superato dalla vertigine di quanto annunciato. La speranza è che la nuova stagione riparta davvero dall’episodio 29 e sia all’altezza non solo del Twin Peaks che fu, ma anche della serialità da prime time dei giorni nostri – che molto deve alle elettriche Lynch/Frost Productions. Il rischio è di fare una rimpatriata poco più emozionante dell’episodio #5.12 di Psych, Dual Spires (2010), magari resa imbarazzante dalle novità che, giocoforza, i due autori ultrasessantenni dovranno inventarsi (leggi da questa parte le dichiarazioni e le anticipazioni di Mark Frost)

Nel frattempo («Meanwhile»), come ha detto sibillino il James Stewart venuto da Marte in quel di Lucca a fine settembre, non ci resta che «Wait and See».

May the forest be with you.

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Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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