giovedì, Marzo 28, 2024

Café Society di Woody Allen: Cannes in pillole

Amazon ha messo ben 30 milioni di dollari a disposizione del buon Woody per realizzare Café Society e il risultato si vede, almeno nello sforzo produttivo teso a portarsi a casa una ricostruzione perfetta e curatissima in ogni dettaglio, tanto da allargare la prospettiva visiva anche alle scene di insieme, quasi una novità (se non si pensa a Radio Days ovviamente) per un autore “da camera” come Allen. Per non farsi mancare niente c’è anche Vittorio Storaro che torna a curare la fotografia dopo trent’anni di assenza dagli schermi, impegnato a recuperare una sintesi del suo lavoro prodigioso con la luce, operando proprio sul nitore dei colori e la temperatura caldissima, inconfondibile segno della sua arte. Come e più di Radio Days, le figure minime e l’intimità del bozzetto cercano di interagire con l’affresco storico più ampio, quello della New York ante guerra legata ai club, con la mafia sullo sfondo e Hollywood all’apice. La traccia ebraica e la cultura yiddish trapiantata in America subisce un trattamento sorprendentemente fuori da quella patina rassicurante che per certi versi ci saremmo aspettati da Allen, ma il problema è quello tipico del cineasta americano: l’ipertrofia, il brulicare delle figure minori e delle situazioni in una rutilante aggregazione di sketch che rischia di perdere tridimensionalità, perché al solito è la superficie che lega immagine e parola alla traduzione del motto di spirito, croce e delizia del nostro. Se nel cinema dei Coen, anche in quello recentissimo, i personaggi escono dal quadro, con Allen la cornice viene appesa in salotto.

Redazione IE Cinema
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