venerdì, Aprile 26, 2024

Brothers of the sonic cloth – s/t: la recensione

Sono quindici anni che non sentiamo parlare di Thomas “Tad” Doyle, perché se si esclude una fugace reunion dei TAD, l’ultimo lavoro dell’ex macellaio di Seattle risale all’anno zero, quando usciva Kung-Fu Cocktail Grip degli Hog Molly, formazione morta subito dopo la pubblicazione dell’album. Doyle ci riprova avviando il progetto Hoof, ma la band si limita solo ad alcuni live e il nostro se ne va da Seattle trasferendosi in California, esce dall’ambito musicale e si lascia dietro le spalle droghe e alcool. Torna da San Diego nella città natale e intorno al 2008 fonda i Brothers of the sonic cloth con Peggy Doyle al basso e Dave French (Annunaki) alla batteria; Tad Doyle ovviamente si occupa delle chitarre e canta.

L’anno successivo la band pubblica un demo e uno split per la violent Hippy Records condiviso con i Mico de Noche, una storica band di stoner-sludge metal stanziata a Seattle.

Durante un concerto del 2012 a Seattle organizzato per l’ultimo dell’anno e condiviso con i Neurosis, Doyle parla con Steve Von Till di un possibile album sulla lunga distanza che raccolga il lavoro dei Brothers, il fondatore della Neurot si dimostra disponibile, e il primo full lenght della band diventa finalmente una realtà.

È un ritorno violento e malsano quello di Tad Doyle, dove l’eredità dei TAD si sente tutta, ma potenziata da una narcolessia diabolica che si inserisce perfettamente nel contesto Neurot, consegnandoci un viaggio infernale nei territori del doom metal, in parte vicino ai Melvins più pesanti e allo stesso tempo capace di stratificare il muro di suono con derive visionarie tra shoegaze e un droning psichedelico sorprendentemente meditativo.

Se si esclude la violenza metal dell’opening track e la bizzarra coda pianistica che chiude l’album, entrambe di una durata che supera di poco i due minuti, la scelta dei Brothers of the sonic cloth è di tipo ipnotico, con brani che durano tra gli otto e gli undici minuti, dove all’imponenza rituale dei riff fanno da sfondo textures sonore che puntano alla creazione di soundscapes destabilizzanti; è un terreno che apre la strada a improvvise esplosioni grind vicine alla forza pagana di Zeni Geva, dove il growling di Tad Doyle sembra provenire dritto dall’inferno.

Il lavoro in consolle di un nume tutelare delle sonorità doom come Billy Anderson contribuisce a tirar fuori un risultato imponente e tombale, un suono “totale” come ha detto Doyle stesso in alcune interviste, dove l’humour nero dei TAD lascia il posto a testi più introspettivi e oscuri, e la musica, esattamente come negli anni della creatura seminale di Doyle, è un vero e proprio specchio della sua personalità, oggi non più semplicemente “grossa e orribile”, ma “Unnamed”.

Ugo Carpi
Ugo Carpi
Ugo Carpi ascolta e scrive per passione. Predilige il rock selvaggio, rumoroso, fatto con il sangue e con il cuore.

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