venerdì, Marzo 29, 2024

Burrasca, gli Ex Otago si raccontano: l’intervista @ Indie-Eye

In questa primavera 2015 gli Ex-Otago stanno portando in giro per i club della penisola una serie di date in acustico, figlie dell’esperienza di In capo al mondo, l’album dello scorso anno in cui la band genovese ha intrapreso una svolta sonora non del tutto inattesa ma comunque di impatto. In questo tour il gruppo promuove Burrasca, il libro collettivo che racconta il mondo Otago, nato in contemporanea proprio con la registrazione del disco. In questi concerti i liguri si trovano quindi a riproporre i loro brani in una chiave nuova, inframezzando le canzoni con letture tratte da Burrasca, per una nuova sfida musicale, una delle tante che la band ha affrontato durante la sua carriera, che ormai ha superato la decade, e che sicuramente riserverà in futuro altre sorprese e cambiamenti. Prima della data milanese all’Ohibò dello scorso 9 aprile abbiamo avuto modo di parlare di tutte queste svolte con Simone Bertuccini e Francesco Bacci. Ecco cosa abbiamo scoperto.

Inizierei chiedendovi di “Burrasca”, il libro che promuovete in questo tour primaverile. Qual è stato il percorso che vi ha portato a scriverlo?
F: è stato un percorso abbastanza naturale. Durante la scrittura di un disco capitano una marea di cose, si passa un sacco di tempo insieme, ci si raccontano le proprie storie. Poi ci siamo trovati a scrivere alcune canzoni del disco in una baita in montagna, in Valle d’Aosta sopra i 2000 metri, e lì abbiamo parlato tanto, abbiamo avuto modo di raccontarci. Un nostro amico ci ha lanciato l’idea e ci siamo interrogati sul senso della cosa e ci è sembrato che ne avesse molto. Quindi è stato un flusso di idee che è confluito dentro al libro come se fosse una specie di contenitore, di baule di tutto quello che passava per le nostre menti in modo non troppo ragionato e ponderato. Quindi non è un racconto lineare, è una serie di episodi, fotografie.
S: esperienze extra-Otago, contenuti che raccontano di noi, delle nostre vite, tutto ciò che non poteva stare nel disco lo abbiamo buttato nel libro.

Ci sono stati ostacoli nella scrittura e nella preparazione di un libro, per voi che solitamente scrivete altro, cioè canzoni?
F: sì e no, nel senso che non siamo abituati a scrivere dei testi che possano finire su della carta stampata, però, essendo stato una specie di flusso libero di pensieri e parole, non dico buttate lì perché sono state ponderate e ci abbiamo riflettuto, non è stato qualcosa di totalmente innaturale. È stato figlio dello stesso processo che ci ha portato a scrivere il disco.

Come mai promuovete il libro con dei concerti e non con presentazioni classiche nelle librerie, come altri musicisti-scrittori fanno?
S: in realtà una presentazione del genere l’abbiamo fatta a Genova. Ci sembrava che il messaggio che ci fosse anche un libro assieme a un disco non fosse stato tanto recepito.
F: sì, non è tanto passato. Abbiamo scelto di non fare delle presentazioni perché per noi il libro non è scisso dal disco e dalla nostra attività di musicisti e quindi ci sembra la cosa più logica portare le due cose insieme, perché sono nate insieme. Quindi un concerto-reading o un concerto-racconto ci sembrava il modo migliore per promuovere il nostro libro. Pur avendo scritto, compilato un libro, rimaniamo musicisti, quindi crediamo che il palco di un club, di un teatro o di un festival sia il luogo migliore dove raccontarlo.

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Come sono state riarrangiate le canzoni che faranno parte di questo live acustico? Ci saranno solo brani dell’ultimo disco o anche dei precedenti?
S: ci sono canzoni di In capo al mondo, l’ultimo disco, ma anche canzoni vecchie, di Mezze stagioni principalmente. Abbiamo un po’ cambiato la scaletta, abbiamo anche cercato di musicare questi testi e queste letture che faremo e riarrangiato dei pezzi. Sì, le canzoni le abbiamo un po’ modificate.
F: la grande cosa è che non c’è la batteria. Ci siamo reinventati un po’, giriamo adesso con una cassa da banda che ci rende un po’ buffi quanto in realtà molto interessanti. Quindi mancando la batteria è logico che un pezzo come Foglie al vento, molto tirato e giocato proprio sulla batteria, abbia necessità di essere ripensato. Quindi è stato un buon esercizio anche per noi. A noi piace, quando impariamo a suonare bene le cose, smettere e suonarle in un altro modo.

C’è un pezzo che secondo voi guadagna più degli altri in questa nuova veste?
S: Marco corre, perché abbiamo avuto una bella idea di tirarla un po’ indietro e di farla diventare una ballata più intima. Poi c’è la ghost-track del disco che è diventata molto bella, la lettura di Alce nero, che era l’unica lettura del disco, che abbiamo musicato un po’ diversamente, riarrangiata, e che ci dà molta soddisfazione quando la suoniamo dal vivo.
F: ed è stata anche recepita molto bene, mi ricordo ad esempio un ragazzo che ha un progetto musicale che si chiama Calcutta ci ha detto che per lui è il pezzo più bello di tutto il live, nonostante sia una lettura. Nonostante sia un brano che non ha cantato, la lettura trova un suo sfogo naturale su un palco di un club più che altrove.

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A proposito di lettura su un palco, di declamazione, avete paura di confronti con i grandi nomi italiani come Emidio Clementi ad esempio?
F: noi siamo degli incoscienti, quindi direi di no. In realtà non ci abbiamo proprio pensato. Adesso anche Brunori fa uno spettacolo in cui più che leggere recita; quando siamo andati a vederlo, una settimana prima che iniziassimo il tour, abbiamo visto che faceva questa cosa e abbiamo pensato “cavoli, anche lui! Poi sembrerà che lo copiamo!”
S: poi ci sono i nostri amici Fine Before You Came che stanno facendo date acustiche, ma loro non leggono e sono molto più tristi di noi

Utilizzate anche strumenti etnici abbastanza particolari, come il charango ad esempio. Come vi siete approcciati al loro uso? E cosa vi ha convinto ad usarli per la vostra musica?
F: anche questo perché siamo degli incoscienti. In realtà eravamo alla ricerca di un po’ di suoni nuovi in generale, perché con l’uscita di Alberto dal gruppo ci siamo resi conto di dover sperimentare degli ambiti in cui non eravamo ancora andati. Io parlo per me che sono arrivato dopo, ho registrato solo In capo al mondo con gli Otaghi, prima non c’ero, però se si fossero esplorati gli stessi luoghi di Mezze stagioni o se si fosse presa la stessa direzione senza Alberto sarebbe stato uno scopiazzamento di quello che si era fatto, ma con un valore in meno. Invece si è cercato un plus-valore attraverso una scrittura un po’ diversa sia a livello testuale che a livello di atmosfere, ma anche a livello di suono, di strumenti. Sono stato a un concerto degli Honeybird & The Birdies, dove c’è una ragazza italo-inglese che suona il charango molto bene. Io suonavo un po’ l’ukulele, la settimana dopo ho preso anch’io un charango e abbiamo subito riarrangiato tutti i pezzi del disco con quello strumento. Poi c’è Olmo, che è un altro membro aggiunto dal dopo-Mezze stagioni, che è un polistrumentista fantastico, suona flauto traverso, sax, sax soprano, tastiera, quindi sono accadute queste cose semplicemente trovandosi in saletta con degli strumenti che prima non si avevano, provando prima l’ukulele, poi il charango, poi inserendo anche l’harmonium indiano, che ho provato io ed è di difficilissima gestione però ha un suono molto interessante.

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Avete detto che il punto di svolta per il vostro suono è stata l’uscita dal gruppo di Pernazza. Siete sicuri che senza quell’evento non vi sareste comunque evoluti in questa direzione o in una simile?
S: l’evoluzione ci sarebbe stata comunque, come ci sarà con il prossimo disco, perché ci piace cambiare ed essere sempre in evoluzione. Con Alberto siamo rimasti ottimi amici, siamo fratelli dopo un’esperienza che è durata più di dieci anni, però abbiamo preso strade diverse perché ci sono proprio intenzioni diverse e modi diversi nel fare musica. Quindi ci è venuto naturale andare verso l’acustica, anche se già adesso con le nuove bozze che stanno nascendo stanno già cambiando le cose di nuovo. Siamo in costante evoluzione.
F: diciamo che non è stata l’uscita di Alberto ad aver determinato un cambio di suono. Stava già avvenendo, con quell’avvenimento si è solo acuita questa cosa.

Com’è fare musica per voi oggi in Italia?
S: è un po’ come fare resistenza. Sicuramente è una grande passione, si va avanti sapendo che alla grande massa arrivano i Marco Mengoni. Parlavamo oggi di come in realtà non è vero che sia proprio così, ma viene sfruttata tantissimo, o almeno questa è la mia idea, l’idea che la televisione possa spingere totalmente un gruppo. Ad esempio Cecco & Cipo, quei due ragazzi che fanno acustico chitarra e voce, senza X-Factor probabilmente non sarebbero mai stati considerati da nessuno, mentre ora hanno migliaia di visite sui loro Instagram e Facebook. Quindi magari sarebbe bello un giorno, per me, che Sanremo avesse un Brunori o un Dente.

E gli Ex-Otago?
S: anche. Ci abbiamo provato come ci ha provato anche Il Pan Del Diavolo, noi per gioco, loro non lo so. Chissà però: dal momento che è stato deciso che ora è l’hip hop il genere che sta andando alla grande, magari domani qualcuno dall’alto deciderà che sarà il folk. Anzi, già ora sta iniziando ad andare, per esempio Eros Ramazzotti, Fiorella Mannoia e Tiziano Ferro hanno fatto canzoni folk. Quindi noi inizieremo a fare elettronica per evitare il successo…

A proposito di nuove tendenze, c’è quella del crowdfunding, che voi anticipaste già qualche anno fa. Cosa pensate dello sviluppo forse eccessivo che c’è stato di questo modo di produrre musica?
S: perché dici eccessivo?

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Penso soprattutto alle ricompense che spesso vedo nelle liste, da cene a videomessaggi, cose poco legate al prodotto che si va a finanziare…
S: noi abbiamo sempre cercato di evitare cose del genere. Sono cazzate che ci si inventa per rendere originale la propria campagna. Il crowdfunding è sicuramente un modo innovativo e nobile per trovare dei finanziamenti, poi chiaramente con l’espansione si cade anche in queste cose un po’ patetiche.
F: in realtà accade sempre che la diffusione di un’idea corrisponda un po’ anche a una distorsione dell’idea stessa. Però si sta sempre a constatare che non si suona in giro, che le etichette non investono, che i locali sono in crisi, che i promoter non prendono i gruppi, quindi ben venga che i siti di crowdfunding abbiano questa diffusione. Senza voler fare quelli con la puzza sotto il naso, che ogni tanto ci sta, ma ogni tanto bisogna lasciare che le cose accadano, se c’è un progetto che si pone in alternativa rispetto a dei sistemi vigenti che sono tali da anni e che non funzionano più, ben venga. Poi c’è questa punta di orgoglio di “anch’io produco gli Ex-Otago”, di essere stati i primi.
S: il primo gruppo italiano a produrre un disco tramite crowdfunding, correva l’anno 2009, con un sistema molto più punk di quello che si usa oggi, però ce la facemmo e siamo andati addirittura in Norvegia, ma questa è una vecchia storia…

Progetti futuri? Prima parlavate di un nuovo disco, avete già date indicative?
S: tra mille virgolette, sarebbe bello uscire agli inizi del 2016. Sicuramente non lasceremo passare tre-quattro anni come per i dischi precedenti. Ci impegneremo per fare questo.
F: abbiamo già iniziato a scrivere, complice il fatto che l’anno scorso abbiamo trascorso una settimana ad Apricale, che è un paesino bellissimo dell’entroterra ligure, ci hanno offerto una residenza artistica, abbiamo scritto musica per una settimana e sono nate già un po’ di basi, un po’ di cose da cui partire per la scrittura dei pezzi che verranno.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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