venerdì, Aprile 19, 2024

Giöbia – Magnifier: crudi, rock e lisergici. La foto intervista

Magnifier è il quarto album per i Giöbia, la band rock psichedelica milanese attiva ormai da quasi due decadi, durante le quali è riuscita a costruirsi un fedele pubblico e una rispettabilità critica in tutta Europa, ancor più che nella natia Italia. Con questo lavoro assistiamo a un indurimento nel suono del quartetto, che si sposta da suoni più legati agli anni Sessanta di band come gli Electric Prunes o i 13th Floor Elevators a quelli più hard degli anni Settanta, con i Black Sabbath sullo sfondo. Abbiamo parlato di questa svolta e di cosa significhi in generale fare psichedelia oggi con Stefano Basurto, voce e chitarra, e con Stefano Betta, batterista della band, all’interno della loro sala prove milanese, un luogo dove si respira musica, tra strumenti e locandine dei tanti concerti tenuti in giro per il continente. Ecco dunque a voi Magnifier e i Giobia.

Partiamo parlando di Magnifier, che mi è sembrato un disco più hard rispetto ai vostri precedenti. Siete d’accordo su questo fatto? Se sì, a cosa è dovuta questa svolta?

S. Betta: è più hard, volutamente più hard, volevamo suoni più “grossi”. Non so esattamente perché sia così rispetto agli altri: il primo era più garage perché volevamo fare un disco garage, anche se poi non è proprio un disco garage in senso tecnico, il secondo è più aperto, perché non c’eravamo dati obiettivi particolari, questo invece è così.

S. Basurto: sono state scelte di produzione, volevamo che la batteria suonasse in un certo modo. Arrivavamo da un periodo in cui volevamo allontanarci dallo stereotipo della psichedelia che andava fino a qualche anno fa, volevamo discostarci da quello.

S. Betta: sì, quella psichedelia piena di riverberi.

S. Basurto: siamo partiti da suoni di batteria più grossi e da chitarre con un approccio più anni Settanta, quindi un po’ più fuzzose. Poi brani un po’ più lenti e pesanti, anche se non sono tutti così: la prima parte del disco è più rock, mentre poi ci sono più momenti psichedelici e anche lasciati all’improvvisazione, abbiamo anche registrato un brano tutto improvvisato che è venuto bene e che abbiamo tenuto così com’era.

Giöbia – Magnifier – promo

Qual è questo brano?

S. Basurto: Sun Spectre, la penultima traccia, che dura quindici minuti. Abbiamo fatto questa improvvisazione, così per curiosità, ed è venuta bene.

Avevate già in mente di arrivare fino a quella durata o anche quello è stato frutto del caso?

S. Basurto: noi improvvisiamo tanto dal vivo, abbiamo questo approccio che avevano le band del nostro stile, dai Grateful Dead ai Pink Floyd, lasciamo sempre aperta la vena improvvisativa, abbiamo tanti brani con il finale aperto. Quindi sappiamo improvvisare, abbiamo sempre improvvisato, però non abbiamo mai registrato un brano così. Magari improvvisiamo in sala prove a volte, registriamo tutto e poi ci lavoriamo.

S. Betta: però quando hai le registrazioni e provi a ricreare l’improvvisazione o l’atmosfera che facevi in sala, non funziona.

S. Basurto: sì, bastano pochi dettagli e quella canzone l’hai persa. In questo caso invece abbiamo registrato così com’era e quello che è venuto è venuto. Abbiamo fatto due take da 15 minuti l’una e alla fine la prima che abbiamo fatto è quella che è finita sul disco.

Gli altri brani invece sono più pensati o anche lì c’è stato spazio per l’improvvisazione?

S. Basurto: non abbiamo una formula sola, ci sono alcuni brani che partono da un riff e poi vengono completamente stravolti, mentre altri nascono con una struttura da canzone con ritornello e strofa. Ogni brano ha una storia a sé. Anche come metodo di registrazione, non siamo fissati su uno solo, cambiamo molto a secondo della situazione.

Per quanto riguarda invece la strumentazione siete amanti dello strumento vintage registrato in modo vintage o anche lì vi sentite liberi?

S. Basurto: più che altro ci piacciono le produzioni lo-fi, i suoni troppo prodotti non ci piacciono, un po’ anche perché non possiamo permetterceli, quindi facciamo un po’ di necessità virtù. Poi ormai ci siamo specializzati in quello, il secondo disco l’abbiamo registrato completamente in analogico, mentre con gli ultimi due abbiamo fatto un ibrido, registrando su nastro e lavorando poi anche col computer, quindi c’è un po’ l’uno e l’altro. Per quanto riguarda la strumentazione è lo stesso, per esempio volevamo dei suoni di batteria più anni Settanta quindi abbiamo usato una Ludwig di quegli anni, per avere un suono più legato ai Black Sabbath, a gruppi di quel tipo.

S. Betta: quei suoni crudi. Se uno vuole quel tipo di suono, deve usare quella strumentazione e quella metodologia di registrazione. Poi naturalmente non sarà mai esattamente così, anche perché non siamo dei puristi assoluti, però il suono più grezzo, crudo, più analogico mi piace e va fatto così.

S. Basurto: diciamo che siamo partiti volendo fare un disco molto più rock e crudo rispetto al precedente, quindi eliminando i riverberi totalmente. Poi andando avanti a lavorare nel mix ci siamo resi conto che non si poteva passare così da un estremo all’altro, anche perché le voci magari erano effettate e avere voci effettate con dietro un suono super-crudo era un po’ strano. Quindi qualche riverbero l’abbiamo messo, un po’ di eco, ci siamo fatti prendere e abbiamo smarmellato tutto.

Giöbia – Lentamente la luce svanirà – video ufficiale

A proposito di strumenti, mi sembra che questa volta non ci sia il violino, che era invece presente nei dischi precedenti…

S. Betta: sì, questa volta non c’è. In realtà avevamo registrato un pezzo con tutta una parte di violino, un pezzo strumentale, ma non ci piaceva. Ecco, quello era un pezzo che se non lo registri in modo anni Settanta, tutti assieme, non rende. Ci abbiamo provato un paio di volte, ma poi risentendolo non funzionava, mancava qualcosa. Magari però tornerà il violino, anzi quasi sicuramente.

Come singolo di lancio è stato scelto Lentamente la luce svanirà. Come mai?

S. Basurto: non l’abbiamo scelto noi, ma ci va bene comunque.

S. Betta: sì, è un pezzo che mi piace molto.

Perché il titolo è in italiano?

S. Basurto: inizialmente volevamo trovare un titolo in italiano anche per il disco, poi però non c’è venuto. Ci abbiamo pensato molto, anche per questo brano, ci sembrava mancasse qualcosa e volevamo aggiungere una frase e in questo caso invece ce l’abbiamo fatta con l’italiano.

La scaletta del disco com’è nata invece? Mi ha colpito ad esempio il fatto che il brano più breve, Devil’s Howl, e quello più lungo, Sun Spectre, siano messi vicini, quasi a mostrare la gamma musicale entro cui spaziate.

S. Basurto: Dato che usciamo in vinile abbiamo dovuto sottostare a vincoli di durata dei brani, quindi quell’accostamento non è voluto. Certo, abbiamo cercato di fare una scaletta che in generale suonasse bene, ma qualche limitazione c’era. Ad esempio Sun Spectre, che è il pezzo lungo, secondo noi doveva andare per forza sul lato B, così come Magnifier, la title-track, che è il brano che suona diverso da tutti gli altri, doveva essere in chiusura.

S. Betta: Devil’s Howl è un pezzo vecchio, di quattro- cinque anni fa, l’abbiamo preso e gli abbiamo cambiato testo e linea vocale, gli abbiamo dato suoni più crudi. Te lo dico per fare un altro esempio di come scriviamo i pezzi, ognuno è una storia a sé.

S. Basurto: in totale abbiamo registrato dieci-undici pezzi e alla fine abbiamo scelto questi sette, che ci sembravano i migliori e quelli che stavano meglio assieme.

giobia_2

Nel primo brano, This world was being watched closely, c’è un campionamento da La Guerra dei mondi di Orson Welles. Come mai? Siete partiti con l’idea di costruire il brano attorno al campionamento o ce l’avete inserito dopo?

S. Basurto: l’abbiamo inserito dopo. La mia idea era di trovare un parlato da musicare, però non mi veniva in mente cosa. Poi ho registrato una parte vocale che però dopo un po’ non mi convinceva più.

S. Betta: volevamo un parlato che non fosse in italiano, che non fosse un attore; abbiamo provato mille soluzioni e alla fine abbiamo scelto Orson.

S. Basurto: avevo lavorato per un mese sulla linea vocale, ma quando abbiamo trovato quel campione l’abbiamo cestinata subito. È stata una delle ultime cose che abbiamo fatto prima di uscire col disco, abbiamo tolto la voce che c’era e messo La guerra dei mondi, anche perché devo ammettere di non poter competere, è impensabile…

Per la copertina e per tre testi avete collaborato con Laura Giardino. Come è nata questa collaborazione? E per la copertina le avete dato qualche indicazione o ha fatto tutto da sola?

S. Basurto: Laura è la mia ragazza, ma questo non sminuisce il fatto che sia una grande artista, considerata e quotata in Italia.

S. Betta: a una delle sue mostre che ho visto, un paio di anni fa, molti dei quadri erano proprio a tema con quello che avevamo in mente, quindi ho pensato che Laura dovesse pensare per forza alla copertina del nostro disco.

S. Basurto: poi ha seguito un po’ tutto lo sviluppo del disco, quindi sapeva cosa ci aspettavamo. La copertina non rispecchia esattamente il suo modo solito di lavorare, lei è più figurativa, rappresenta spesso Milano, però si è adeguata senza problemi al nostro stile. Ha preso una vecchia carta da parati anni Settanta, ha stampato quest’occhio e ci ha un po’ giocato.

S. Betta: per quanto invece riguarda i testi, capitava che lei fosse lì perché fa parte della famiglia Giobia e ci dava quindi una mano

S. Basurto: lei è un’amante dell’horror, un tema che ci affascina e che sta bene collegato alla nostra musica, quindi era al posto giusto

Il tour invece come sarà?

S. Betta: cercheremo di suonare molto in Germania e in Nord Europa, dove abbiamo già suonato tanto e dove veniamo apprezzati molto. Il pubblico ci sta, i club sono belli…

E l’Italia?

S. Basurto: non è facile organizzare un tour in Italia per noi, non so per quale motivo, forse non siamo così conosciuti.

S. Betta: sì, si riesce solo nei weekend, per esempio trovare una data di martedì o comunque in settimana è difficile, ci sono pochi club che lo fanno, tipo il Lo-Fi qui a Milano, ma è uno dei pochi esempi.

S. Basurto: ci manca anche l’Inghilterra, è da un po’ che non riusciamo a suonarci. Lì pagano poco le band, forse guardano ancora un po’ strano gli italiani. Nel resto d’Europa invece siamo trattati benissimo, non siamo più bistrattati o meno considerati di altri.

A proposito di concerti, mi ha colpito una data che avete fatto in Puglia quest’estate, sia per il nome della manifestazione, Sagra del Diavolo, sia perché avete suonato con Richard Sinclair dei Caravan…

S. Betta: all’inizio doveva suonare Il Biglietto Per L’Inferno, poi per problemi familiari hanno dovuto dare forfait e ci hanno chiamato. Richard Sinclair vive lì ormai da anni, in mezzo alla campagna, da solo con i suoi cani. Si fa una sessantina di canne al giorno e passa il tempo suonando la sua chitarra, ogni tanto fa date con la sua band. La sagra è davvero bellissima

S. Basurto: anche la gente era presa bene. Va bene la Germania e il Nord Europa, ma ci siamo trovati benissimo anche in Puglia… spero anzi che ci richiamino in Sud Italia, noi andiamo ovunque ce lo chiedano, non è che abbiamo pretese particolari.

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Anche sulla base di questo discorso, vi sentite parte di una scena psichedelica europea, visto che tra l’altro uscite per un’etichetta tedesca? E in Italia sentite di avere dei vostri simili? Qui si parla più di psichedelia “occulta”, con un suono abbastanza diverso dal vostro…

S. Basurto: noi facciamo psichedelia da tanto, ma non ci ha mai considerato nessuno o quasi. Ora c’è questo trend, che anzi forse sta già scemando, e siamo stati un po’ ripescati, quindi è andato un po’ a nostro vantaggio, però non ci sentiamo legati ad esso, anche perché nasciamo con un tipo di psichedelia diversa, legata ai gruppi della Delerium, come gli Ozric Tentacles e i Ship Of Fools. I primi approcci che abbiamo avuto con il rock psichedelico sono stati quelli, un po’ più legati al progressive, anche gruppi anni Settanta come Hawkwind e Gong.

S. Betta: tra l’altro quel suono non siamo mai riusciti a farlo come volevamo, forse anche perché eravamo tipo dieci nella band ed era difficile gestire il tutto. Sì, adesso c’è questa scena, che poi in Italia una scena da quante band è formata? Tre o quattro, non di più.

S. Basurto: notavo che fino a poco tempo i nuovi gruppi fa erano molto più legati a The Jesus And Mary Chain o a band un po’ shoegaze. Noi abbiamo qualcosa di shoegaze nel nostro background, nel nostro approccio musicale, ma non è proprio il nostro punto di partenza, mentre le band italiane che ho sentito sono più legate a quella scena e a quel suono.

Il disco esce anche su cassetta. Come mai?

S. Betta: è successo quasi per caso

S. Basurto: sì, è un’etichetta americana, di Austin, che ci ha contattato perché era incuriosita dal nostro suono, ci conosceva. Ci hanno proposto di stampare il disco in cassetta e la Sulatron, che è la nostra etichetta, non ha avuto problemi a dire sì. Sono stati proprio loro a scegliere il singolo e a fare il video promozionale. Meglio così, perché di solito dobbiamo fare tutto noi…

 

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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