giovedì, Aprile 25, 2024

Laurex Pallas – La prestigiosa Milano-Montreux: la foto-intervista

Nella realtà occupata dai dispositivi tecnologici e dove la ricerca della comodità è uno degli obiettivi principali, l’artigianalità in musica è un valore in cui ormai pochi credono. Parte di questa tribù in via di estinzione sono i Laurex Pallas, che dalla Pianura Padana, e in particolare da Mantova, propongono la loro musica fatta a mano e con amore come i tortelli di zucca delle massaie locali. Dopo“La Classicissima Coppi-Mèrcuri” pubblicato nel 2007 e “L’Ultima Liegi-Bastogne-Wembley” del 2011, è il turno del terzo disco “La prestigiosa Milano-Montreux”, pubblicato lo scorso 25 settembre 2015 e dove il sestetto lombardo prosegue e porta a termine il discorso su ciclismo e fatica che ha contraddistinto anche i due dischi precedenti, nel nome di un pop-rock gradevole e melodico seppur complesso e stratificato, figlio del lavoro e appunto della fatica in studio. Abbiamo incontrato la band in occasione della presentazione del disco presso gli uffici Santeria lo scorso 29 settembre, per analizzare le loro imprese musicali e ciclistiche. Ecco cosa ci hanno rivelato i due songwriter e per l’occasione anche portavoce della band, Fabio Alessandria e Carlo Pinzi.

La prestigiosa Milano-Montreux chiude quella che avete definito “trilogia della fatica”. Cosa vi ha spinto ad analizzare questo tema, che di solito nel pop e nel rock non viene considerato?

F: Come diciamo sempre il ciclismo ci interessava come discorso legato alla fatica, come metafora, grande o piccola che sia, della possibilità di salire col proprio passo e dell’importanza di arrivare in vetta. Poi ci piaceva proprio l’immaginario del ciclismo d’antan, dei corridori con la camera d’aria in spalla, dava proprio l’idea di qualcosa di sano e di pulito.

C: Questa cosa si ripercuote da un punto di vista produttivo. In termini realizzativi abbiamo fatto delle scelte che ci hanno portato lontani dall’impiego massivo della tecnologia, consentendoci concentrazione sui tre dischi fatti fino a questo momento, realizzati tutti più o meno nello stesso modo, ovvero cercando di suonarli il più possibile, limitando l’utilizzo dei campionamenti e delle basi. Abbiamo cercato invece di coinvolgere ospiti, amici e parenti vari. Per esempio abbiamo collaborato con Dino Fumaretto, che è venuto in sala con noi, perché siamo tutti di Mantova, e abbiamo cercato di comporre un brano insieme a lui: non l’abbiamo invitato dicendogli di suonare qualcosa già predisposto, ma l’abbiamo coinvolto a livello intellettuale nella creazione del brano. Tutto questo naturalmente comporta una certa fatica, perché ad esempio se vuoi fare un arrangiamento di archi con dei musicisti veri devi chiamarli e poi fare layer su layer di sovraincisioni, quando magari puoi ottenere dei risultati simili servendoti di banali tastiere.

Se doveste individuare una caratteristica che accomuna i dischi della trilogia e al contrario una totalmente nuova presente solo in questo lavoro, quali sarebbero?

C: Sicuramente una delle caratteristiche di tutti e tre i dischi è la stratificazione, quindi la volontà di fare spessore e di aggiungere. La difficoltà è capire quando togliere e dove serve lavorare per sottrazione. Volendo fare qualcosa che richiamasse una certa epicità ci sembrava giusto non fare un disco minimale e in questo senso nessuno dei tre lo è. Forse il secondo era quello più pieno, con questo abbiamo raggiunto un maggior equilibrio. La novità era riuscire a togliere, equilibrare tra pieni e vuoti.

Vi definite come un cocktail di sei elementi, quattro musicali e due di altro ambito. Per quanto riguarda la musica gli ingredienti sono: Enzo Jannacci, Gino Paoli, i Beatles e il glam rock inglese. Cosa prendete da questi e come li miscelate?

F: Ognuno di noi ascolta centinaia di dischi all’anno, quindi quelli della lista devono essere considerati come riferimenti generali. Enzo Jannacci per esempio è presente per quell’attitudine surreale che gli ha consentito di esaminare le caratteristiche umane cogliendo determinati aspetti della vita, ed è fondamentalmente un cantautore minore. Come lui potrebbero esserci Ivan Graziani e tanti altri. Per me e Paolo il mito assoluto è Fabrizio De André, così come per Carlo, ma sarebbe un riferimento sin troppo definito, perché storicamente, se si pensa alla figura del cantautore, si pensa a lui. Jannacci invece rientra nel recupero di quell’universo cantautorale “minore”, anche se ovviamente non lo è.

C: quel suo aspetto di surrealtà, di ironia nella tragicità, è unico. Poi per me un’altra grande passione è Luigi Tenco, ma è un riferimento legato a qualcosa che noi non siamo, ci piace trattare il tragico mettendoci sopra un sorriso, come faceva appunto Jannacci.

F: Per Gino Paoli si può fare un discorso simile a quello di Jannacci con De Andrè, lo vediamo come un corrispettivo “minore” di Tenco.

C: Occorre ricordarsi che Gino Paoli si sparò, tentò il suicidio con una pistola senza riuscirci: questa è una cosa incredibile e surreale. E poi ha scritto delle canzoni meravigliose  (N.d.r. L’undici luglio del 1963, dopo aver allontanato la moglie Anna Maria Fabbri, Paoli si spara due colpi all’altezza del cuore con una Derringer nella villa dove viveva. La pallottola si ferma a pochi millimetri dal cuore e non verrà mai rimossa. In realtà, se proprio si vuol parlare di “surrealtà” questa è da rilevare nel nostro ordinamento giuridico: nel novembre del 1963 Gino Paoli viene condannato per detenzione illegale di arma da fuoco e al dolore di un periodo difficile si aggiunge la beffa. Nel 2005 Paoli ha chiesto la riabilitazione dalla condanna, secondo l’articolo 178 del codice penale)

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F: I Beatles perché sono i Beatles.

C: sì, sono l’imbuto da cui passa tutto. Anche se poi hanno a loro volta preso elementi e ispirazione da qualsiasi altro disco inciso fino a quel momento.

F: Battiato diceva che il pop non è altro che un sistema infinito di citazioni, probabilmente è davvero così. Poi il riferimento al glam lo puoi capire andando a trovare l’elemento comune che c’è nei titoli dei tre dischi…

Il ciclismo anni Sessanta cos’ha invece di speciale? E c’è un ciclista di allora a cui dedichereste un brano?

F: su Coppi e Bartali hanno scritto di tutto, canzoni incluse, quindi i più grandi di sempre sono già stati trattati approfonditamente. Sceglierei Anquetil, che è un grande sportivo ma decisamente minore rispetto a loro, oppure Fiorenzo Magni. Sicuramente non mi orienterei sulla figura di Merckx, perché pur essendo un supereroe non rientra esattamente nella nostra categoria; era uno che vinceva sempre e noi non potremmo mai metterci in relazione con questi aspetti. Ci è molto più vicina una figura che quando raggiunge la vittoria è perché si è avventurato in una vera e propria impresa, per questo motivo mi è venuto in mente Anquetil, che era un “cannibale”, ma assolutamente umano.  (N.d.r.  Cannibale era il soprannome affibbiato a Eddy Merckx per la sua insaziabile voglia di vincere. Come un cannibale appunto, divorava record, titoli, avversari e asfalto). Se dovessimo scegliere un ciclista che rispecchi il nostro modo di intendere la vita quello sarebbe Coppi, vero e proprio “principe della zolla”, come diceva Brera, perché non ha mai rinnegato ciò che era pur avendo avuto un vissuto tragico. Ad arricchire la sua personalità una formidabile ironia, sembrava una figura uscita dal teatro, con quel suo naso aquilino…

L’ultimo ingrediente del cocktail di cui parlavamo è la birra artigianale…

C: la birra artigianale è il carburante per fare la salita, ovviamente dal nostro punto di vista. Non per niente abbiamo preso delle biciclette scassate e siamo partiti da Milano, seguiti dal nostro furgone anch’esso scassato, per cercare di arrivare a Montreux…

“La Prestigiosa Milano-Montreux” – La PrimaTappa

Ho visto i video che raccontano l’impresa. Ma siete davvero riusciti a fare il Gran San Bernardo con le vostre forze?

C: No figuriamoci, era impossibile! Era semplicemente una metafora, abbiamo cercato di pedalare il più possibile o di portare le bici a piedi, finché siamo riusciti. Il problema è che poi sul Gran San Bernardo si è piantato anche il furgone ed è stato difficile farlo ripartire. Le birre c’erano sempre, questo va detto! Io e Paolo siamo dei produttori: possiamo dire che la musica entra nelle birre che facciamo e viceversa. C’è anche un parallelismo tra la ricerca nella musica e la ricerca nelle ricette legate alle birre che beviamo.

Il primo video legato al disco è stato quello di Magari fosse vero, il pezzo più catchy tra quelli della scaletta. L’avete scelto per questo motivo?

C: è stato scelto perché ci siamo resi conto quasi subito che poteva essere un pezzo melodicamente facile, pur essendo abbastanza complesso dal punto di vista degli arrangiamenti e della registrazione: ad esempio la voce principale è registrata su otto tracce e se ascolti la versione a cappella noterai un intreccio notevole di cantati. Dal punto di vista strumentale è un pezzo complesso, però mantiene quella passione che noi abbiamo per i ritornelli, per l’orecchiabilità, da questo punto di vista era adattissimo per rappresentare il lancio del disco stesso. C’è poi anche l’aspetto testuale, che è legato allo storytelling, alla capacità di raccontare storie. Abbiamo scelto di riferirci ad  alcune leggende metropolitane, ma soprattutto volevamo fare un elogio della narrazione, perché siamo convinti che queste storie siano belle a prescindere dalla loro veridicità; c’è sempre qualcuno che cerca di provarla, ricordandosi di vecchi compagni di scuola o di parenti alla lontana…

In generale come nascono le vostre canzoni? Avete parlato molto del lavoro in studio, ci arrivate con già qualcosa di pronto o alcune canzoni nascono direttamente in sala?

C: tutti e tre questi dischi sono nati con un approccio simile. Io e Fabio con chitarra e voce elaboriamo le prime bozze, molto semplici. La parte difficile è trasferirle agli altri, che offrono il loro contributo anche in situazioni particolari, per esempio abbiamo provato a chiedere al batterista di suonare come se fosse un Martini cocktail a bordo piscina… abbiamo sempre utilizzato questo metodo. Questa volta, grazie al co-produttore Antonio Cooper Cupertino, il risultato è decisamente migliore rispetto agli altri due dischi. Basso e batteria sono stati incisi in studio senza conoscere nel dettaglio il risultato finale di quello scheletro ritmico. Abbiamo portato a casa gli hard disk e nella falegnameria dove di solito incidiamo ci siamo presi il tempo di registrare noi tutto il resto. Senza che lui sapesse nulla, siamo andati in un altro studio a fare i mix, senza che lui sapesse nulla. Questo ha stimolato la fantasia del produttore, non si è trattato di un lavoro dove il producer ti accompagna dall’inizio, ma abbiamo trovato un suono che ci piacesse per lo scheletro ritmico insieme a lui per poi confrontarci solamente alla fine. Rispetto ai precedenti lavori realizzati con altri  produttori, Cooper è stato quello che ha capito in modo preciso e corretto quello che avevamo in mente.

F: Cooper ha tirato fuori il suono che avevamo in testa, specialmente sulla sezione ritmica, dove è riuscito a fare un lavoro che collimava con le nostre intenzioni, fin dal primo disco

Tutto questo lavoro complesso come si sviluppa nei live?

C: è un problema che ci siamo posti anche noi, perché quando chiami cento persone a partecipare al tuo disco e poi dal vivo siamo in sei, con dodici mani e alcune bocche per cantare, bisogna saper cogliere l’essenza dei brani. Non sarà un live identico al disco, ci siamo chiesti se fosse meglio realizzare un disco da riproporre in modo perfetto dal vivo oppure un lavoro più vicino alle nostre intenzioni realizzative Abbiamo scelto la seconda opzione.

F: comunque qualcosa del contesto originale è possibile riprodurla anche sul palco, tenendo conto che l’esperienza di ascoltare un disco e quella di vivere un concerto sono due cose diverse, da questo punto di vista non ci poniamo alcun problema.

Progetti futuri? Farete un’altra trilogia su un tema diverso?

C: Abbiamo già pronto un disco totalmente diverso, legato alle inserzioni pornografiche. Non so se ti è capitato di sfogliare quei giornali di provincia in cui le donne del luogo si presentano offrendo prestazioni, a noi è successo e questa cosa ci ha illuminato, siamo venuti a contatto con uno stile di scrittura mai esplorato prima. Abbiamo iniziato a scrivere dei mini-brani, che sono delle vere e proprie inserzioni; il disco è già pronto, si distacca molto da quello che abbiamo fatto finora e credo che uscirà molto presto.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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