martedì, Aprile 23, 2024

Le Capre A Sonagli – Il Fauno: la recensione

La scena bergamasca in questi ultimi anni si sta dimostrando una delle più fertili del paese, con una serie di band che sull’onda lunga dei Verdena e con l’aiuto di strutture ben organizzate e soprattutto sempre più credibili sta emergendo a livello di critica e anche di pubblico. Le proposte musicali di questi gruppi sono piuttosto varie, alcune improntate a stilemi cantautorali abbastanza canonici ma comunque interessanti, altre invece più libere e con un pizzico di follia.
È quest’ultimo il caso de Le Capre A Sonagli, quartetto nato dalle ceneri dei Mercuryo Cromo, band che si fece notare nei primi anni Duemila, che con Il Fauno arrivano al secondo disco dopo il già assai particolare Sadicapra, uscito nel 2012. Il Fauno è infatti un caleidoscopio di trovate musicali, quattro suite divise in quattordici brani di durata mai superiore ai tre minuti in cui i bergamaschi esplorano a modo loro i confini del rock e del folk di oggi, narrando la storia di Joe Koala, personaggio che dà anche il nome a un locale della città.

Joe durante il disco si trova a incrociare personaggi del mondo ultraterreno, in particolare un demonietto, per poi immergersi in un fluido lisergico (anche questo ultraterreno) e finire a galoppare nei campi dell’anima. Già da questo riassunto si può intuire che la musica di sottofondo a questa narrazione non può essere qualcosa di scontato o particolarmente radiofonico. Di primo acchito si potrebbe pensare a qualcosa che abbia a che fare con il prog o con della psichedelia figlia dell’LSD, ma è così solo in piccola parte. Si può infatti parlare di prog perché i cambi di tempo e di atmosfera sono una costante dell’album, ma le durate dei brani e la mancata ricerca di autocompiacimento ci portano da tutt’altra parte. Allo stesso modo si può citare la psichedelia, ma in una sua forma povera e lo-fi, che basa i suoi viaggi mentali più su una forma mentis che su dei suoni codificati.

Cos’è dunque la musica de Le Capre A Sonagli? Qualcosa di poco definibile, come avrete intuito, che parte da stilemi blues-rock e folk per creare mondi particolari e anche abbastanza sinistri (ad esempio Demonietto all’organetto o Giù), sicuramente avvincenti e forieri di un’idea di musica basata sulla libertà espressiva, a tratti anche orecchiabili e a modo loro pop (come nel brano di apertura Celtic) ma sempre e comunque con un pizzico di follia. Non ci resta dunque che suggerirvi di fare un giro nel lato oscuro di Bergamo, per capire una volta di più che c’è vita oltre i Verdena.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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