giovedì, Aprile 25, 2024

Matilde Davoli – I’m Calling You From My Dreams: l’intervista

La grande assente del New Evo Festival di Offagna è stata Matilde Davoli, che ha dovuto dare forfait a causa di un infortunio al batterista della band che la accompagna nelle date di presentazione del suo nuovo disco, I’m Calling You From My Dreams. Non ci volevamo comunque far sfuggire l’opportunità di intervistare la cantante salentina ora di stanza a Londra, con cui abbiamo conversato attraverso gli strumenti connettivi, e attraverso i quali ci ha rivelato tutta la sua simpatia e vitalità, in barba a chi pensa che i mezzi digitali siano un tramite “freddo”, raccontandoci la genesi dell’album, tra i più interessanti ed internazionali nella rosa di quelli prodotti da artisti italiani negli ultimi mes, grazie al suo pop dall’attitudine elettronica ma come ci ha detto Matilde, del tutto suonato da cima a fondo. Frutto di ottima produzione e di memorabili melodie, che nel pop sono vitali come l’ossigeno. Ecco cosa ci ha rivelato, nella speranza di vederla presto alla prova live.

Il disco è nato dopo il tuo trasferimento a Londra. Perché hai deciso per questa città e come ha influito su di te e sulla tua musica?
Si il disco è nato a Londra. Mi sono trasferita in Inghilterra tre anni fa per diversi motivi. Il mio ragazzo viveva già lì da un paio d’ anni quindi a un certo punto mi sono decisa a raggiungerlo per fare un po’ di cose che mi ero sempre promessa di fare, una fra le tante imparare bene l’inglese. In linea di massima non sono mai stata una grande fan dell’ Inghilterra, il mio sogno è sempre stato quello di andare in America e in particolare a New York (dove poi sono anche stata per un mesetto). Londra è però effettivamente la New York più a portata di mano che si possa avere in Europa e se ti piacciono certe cose e fai musica è quasi una scelta obbligata. Sicuramente l’ambiente londinese ha influito tanto sulla mia musica in questi ultimi tre anni ma allo stesso tempo credo anche che il contributo grosso sia stato dato dall’esperienza in sé di andare a vivere all’estero. Può sembrare banale, ma la verità è che esperienze come questa cambiano tanto il tuo modo di vedere le cose.

Matilde Davoli – “Dust” – live al Rubik

Come hai lavorato al disco? È stata una gestazione lunga?
Devo dire che il lavoro sul disco (e intendo solo la scrittura) è stato veramente molto breve. Ho impiegato un 2/3 mesi per scrivere una quindicina di pezzi da cui poi ho fatto la selezione che è finita nel disco.  Solo un paio di canzoni sono un po’ più vecchiotte e risalgono all’anno prima del mio spostamento in UK. La parte veramente lunga e sofferta è stata mixare l’album. Mi spiego: avendo fatto tutto da sola (scritto, arrangiato, suonato e registrato), quando sono arrivata al mix non avevo veramente più voglia di fare niente, mi ero totalmente stancata dei pezzi, non riuscivo più a ragionare in maniera lucida e non mi piaceva più niente. L’unica cosa sensata era prendersi una pausa, ed è esattamente quello che poi ho fatto. Mi sono presa un po’ di mesi per staccare un attimo proprio da me stessa e far rinfrescare le canzoni, tanto non avevo nessuna dead line e non dovevo dar conto a nessuna etichetta, quindi per il mix me la sono presa con comodo. Facendo due conti, alla fine per tutta la produzione del disco credo di averci messo poco meno di un anno.

Si parla di Stereolab tra le influenze, sei d’accordo?
Assolutamente si! Tra l’altro loro sono anche l’unica band che autorizzo ad essere citata (ahaha). Gli Stereolab sono stati tutto per me, li ho amati da sempre e musicalmente mi hanno insegnato tanto. Sono sicuramente l’unica influenza musicale che mi porterò dietro a vita. In questi ultimi anni ho avuto anche la fortuna di conoscere Laetitia Sadier e di diventare in qualche modo sua amica. Una persona veramente meravigliosa, non c’è da stupirsi che abbiano fatto musica altrettanto meravigliosa!

In generale quale elettronica preferisci come provenienza geografica e temporale?
Mmm, una domanda a cui sinceramente non saprei rispondere. Non sono tanto ferrata sull’argomento, non sono mai stata un’ascoltatrice assidua di musica elettronica e non sono una patita del genere. Stranamente è una domanda che mi pongono spesso ultimamente ed è curioso perché io non reputo il mio album un disco elettronico. Sicuramente è un disco pop (poi gli possiamo mettere anche degli aggettivi accanto: dream pop, indie pop…) ma non elettronico. Tutti i pezzi sono suonati dall’inizio alla fine con strumenti veri e da persone in carne ed ossa. Evidentemente il fatto che ci siano synths al posto delle chitarre fa pensare a qualcosa di completamente diverso.

Cosa c’è delle tue esperienze precedenti in questo disco?
Indirettamente tantissimo, più che altro perché dalle esperienze si impara tantissimo :)

Con gli Studiodavoli uscivate su Recordkicks, etichetta che poi negli anni è molto cresciuta e si è piú spostata verso il soul. Hai seguito l’evoluzione dell’etichetta? E com’era far parte di quella famiglia?
In realtà di quella famiglia faccio ancora un po’ parte visto che Nicolò resta da sempre il mio editore. Record Kicks a mio parere è una delle migliori etichette discografiche esistenti sul nostro territorio. Ora come ora è un’etichetta di genere, è vero, ma la professionalità e la passione che ho visto girare lì dentro non l’ho vista da nessun’altra parte in Italia. Mi sono sempre trovata benissimo fin dai dischi con gli Studiodavoli, ecco perché in qualche modo mi ritrovo ancora a collaborare con Record Kicks.

Girl with a Gun è un progetto accantonato o tornerà?
Per ora è un progetto che al momento non ha molto senso di esistere, ma chissà il futuro è sempre pieno di grosse sorprese, mai dire mai!

Tra i brani del disco che preferisco c’è Dust. Puoi raccontarci com’è nata?
Come tutti i pezzi che scrivo, Dust è nata durante il “cazzeggio” (passatemi la parola) più totale. Ero lì con un synth e stavo provando diversi suoni, finché le mani, a un certo punto, non si sono mosse creando questo fraseggio sulla tastiera. In quel momento ho pensato: “mmm carino”. Il passo successivo è stato quello di abbinare un bit sopra a quella linea melodica, così mi sono messa a suonare dei drum pad per cercare di capire cosa effettivamente poteva uscire fuori da uno spunto del genere. Da lì il passo per finire il pezzo è stato molto breve. La melodia funzionava molto bene con il giro di batteria, quindi poi mi sono messa a costruire le varie parti della canzone e a scrivere il resto dell’arrangiamento.

Realize invece, che sembra abbastanza diversa?
Realize è un pezzo più vecchio, infatti è un pezzo molto chitarroso e nel disco non ce ne sono molti. Casualmente è stata scritta a Londra, prima che io mi trasferissi lì. Ero andata a trovare il mio ragazzo, quindi ero in vacanza. Tra l’altro eravamo appena tornati da un viaggio in Portogallo dove eravamo stati alla prima edizione portoghese del Primavera Sound, bellissimo! (ma questo non c’entra). Essendo musicista anche lui, lì a casa avevo a disposizione chitarra e scheda audio per registrare. Insomma, durante i pomeriggi in cui rimanevo sola a casa mentre lui era via a lavoro, non sapendo cosa fare, è uscita Realize.

Matilde Davoli – Realize – audio ufficiale

Ho visto che ultimamente hai collaborato con June And The Well, cantando un loro brano. Da dove arriva questa collaborazione?
Conosco Luigi Selleri da tantissimo tempo. Siamo tutti e due salentini e lui da ragazzo suonava in una band chiamata Suburban Noise insieme al mio “socio” Stefano Manca (proprietario del Sudestudio, studio di registrazione dove io lavoro come fonico). Con Luigi è un po’ come se ci conoscessimo da sempre, lo stimo e lo ammiro da una vita e quindi quando mi ha chiesto di cantare un pezzo nel nuovo disco dei June And The Well, l’ho praticamente abbracciato, ero troppo contenta.

La presentazione del disco in ambito live com’è? Cambia molto rispetto alle registrazioni?
No, ho cercato di tenere il live quanto più fedele possibile al disco. Mi rendo conto che è una cosa molto rischiosa, è chiaro che una performance dal vivo non potrà mai rendere e suonare bene quanto un disco, ma non mi piaceva l’idea di stravolgere le cose. In qualche modo sono un po’ gelosa del tipo di sound che sono riuscita a raggiungere e sinceramente non saprei assolutamente come altro far suonare questi pezzi.

Progetti per il futuro?
Al futuro non ci voglio pensare, meglio sempre vivere e godersi il presente.

Matilde Davoli – i’m calling you from my dreams, album teaser

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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