martedì, Aprile 16, 2024

Naomi Punk – Television Man: la recensione

Television Man è il secondo album, dopo il già molto interessante The Feeling, per i Naomi Punk, combo originario dello stato di Washington poco avvezzo alla comunicazione 2.0 (cercateli sui social network e visitate il loro sito per capire meglio), alfieri di quel garage rock inquieto e rumoroso che da qualche anno a questa parte sta scuotendo l’underground statunitense e proponendo ottime band, da Ty Segall in tutte le sue incarnazioni agli ottimi Parquet Courts.
All’interno dell’ondata appena citata il trio del nord-ovest sembra il meno interessato alla forma canzone, che viene spesso abbandonata in favore di una ricerca sonora spostata verso la catatonia e l’iteratività, soprattutto nei vari brani (in particolare Eon Of Pain) ed intermezzi strumentali che a un primo ascolto sembrano semplicemente fare da ponte tra i pezzi cantati ma che invece sono probabilmente un elemento chiave che fa salire e scendere il ritmo, che spezza l’ascolto e propone le idee poi rimasticate e risputate nelle altre canzoni.
Catatonia, si diceva: le canzoni sembrano infatti scritte sotto l’effetto di qualche sostanza psicotropa o tutt’al più di abbondanti dosi di birra doppio malto, da come paiono sfocate e caracollanti, con in più la voce semi-nascosta. Ma nonostante ciò stanno in piedi, basate su riff semplici, nel solco della tradizione garage, e su una compattezza sonora che riesce comunque ad emergere dalle nebbie alcoliche (o porpora, per citare un chitarrista abbastanza famoso nato nello stato di Washington) senza mai lanciarsi a velocità troppo sostenute come illustri colleghi di genere fanno.
E non solo stanno in piedi, ma funzionano molto bene, con tre o quattro episodi degni di assoluto rispetto, in particolare il brano d’apertura Firehose Face, bello stonato ma in grado di crescere e guadagnare spessore nel giro di un paio di minuti, e quello di chiusura, Rodeo Trash Pit, che supera gli otto minuti creando un’atmosfera abbastanza malsana ma che riesce ad avvolgere l’ascoltatore e a portarlo quasi in stato di trance, facendogli così raggiungere gli autori del brano nel loro mondo psicotropo.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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