venerdì, Marzo 29, 2024

Ronin – Adagio Furioso: la recensione

Cosa si nasconde dietro l’ossimoro che titola l’ultimo lavoro di Ronin? Provando a fare un elenco, diverse cose. C’è l’andamento blues che strizza l’occhio all’acidità degli ZZ Top (Preacher Man), la sonnolenza digestiva da Italia a mano armata (Ravenna), l’adagio flautato dalla voce di Francesca Amati (Far Out).

Quinto album per la formazione di Bruno Dorella (Bachi da Pietra, OvO) che rispetto al precedente Fenice, rileva un cambio di line up grazie alla partecipazione di Diego Pasini al basso, Matteo Sideri alla batteria e Cristian Baldi alla chitarra. Ad accrescere i nomi in lizza, Adagio Furioso ha visto la partecipazione di Francesca Amati (Amycanbe, Comaneci) e Nicola Manzan (Bologna Violenta) e l’apporto di Tommaso Colliva al missaggio.

Si potrebbe parlare di disco riflessivo, o conciliante, così come spesso accade quando si ha a che fare con album che relegano ad un porzione minima se non assente la parte vocale. Fatta eccezione per Far Out, Adagio Furioso si snoda fra contrappunti squisitamente acustici, alternando fasi acute della chitarre al tamburellale pallido, assorto e decisamente garbato. Nove pezzi che riescono a cogliere con coerenza l’essenza di Ronin, segnando i connotati di questo essere scontroso, incline al litigio, molto spesso alticcio e festoso solo in situazioni conosciute. Tante suggestioni mai del tutto definite, che permettono, con accondiscendenza, che i contorni dell’album sfumino garbati, ora mangiati dalla canicola dei paesaggi aridi del deserto, ora ricoperti dalla polvere dei lunghi viaggi. Mutevole e umbratile, Adagio Furioso scorre con piena piacevolezza giocando appieno la propria partita assestando contrappunti isterici e addolcendo con ballate slow e trasognanti. Si passa quindi dalle scale etniche di Gilgamesh al pestaggio isterico e industriale di Ex. Un viaggio di suggestioni che certamente troverà numerosi punti di incontro con coloro che hanno già apprezzato non solo il background che alimenta la provenienza di Ronin (Bachi da Pietra e Ovo per dirne alcuni), ma anche mood più celebrali e poco contemporanei in stile Calibro 35.

 

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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