sabato, Aprile 20, 2024

To You Mom: We are lions, l’intervista @ indie-eye

L’elettronica italiana in bilico tra dance e pop sta vivendo un momento sicuramente positivo, non diciamo di splendore per rispetto verso gli anni gloriosi della italo-disco, ma è facile accorgersi del fermento che sta pian piano conquistando pubblico e locali e facendosi largo anche all’estero. Per esempio pochi mesi fa alla Festa della Musica di Chianciano Terme abbiamo intervistato gli M+A, ormai habitué dei palchi inglesi, che sono la punta di diamante del movimento assieme ai trentini Casa Del Mirto. Proprio dalla “famiglia allargata” di questa ultima band arrivano invece i To You Mom:, duo composto da Massimiliano Santoni, che è stato chitarrista proprio della Casa, e da Luca Lorenzi, primo proprietario del nome e del progetto. A marzo uscirà il loro primo disco, We Are Lions, seguito dell’EP I Am Ian, uscito nel 2011, annunciato per ora da un singolo, On A Friday, capace di sintetizzare influenze elettroniche provenienti da almeno tre decadi, dagli anni Ottanta fino al primo decennio del nuovo millennio. Per saperne di più sul disco in arrivo e in generale sul progetto abbiamo incontrato Massimiliano per un’interessante chiacchierata. Ecco cosa abbiamo scoperto.

Ho letto che i To You Mom: sono nati come progetto solista di Luca Lorenzi e solo per far uscire l’EP I Am Ian, ma ora il gruppo esiste e ti sei aggiunto tu. Come l’hai convinto a continuare l’esperienza con anche il tuo contributo?
In realtà la storia è un po’ più complessa: quando è uscito il primo EP ci siamo inventati una storia intorno ad esso, quella dell’astronauta. Poi il progetto è stato pubblicizzato come semplice progetto di Luca perché in quel momento io e Marco Ricci, che eravamo gli altri due membri del trio, eravamo già impegnati e concentrati su Casa Del Mirto. Quindi abbiamo cucito attorno a questa cosa il ruolo centrale di Luca, che in effetti ha un ruolo centrale come cantante, ma in realtà è sempre stata una questione più allargata quella dei To You Mom:. In sintesi, io e Marco ci siamo tenuti molto indietro perché Luca era fermo da un po’ musicalmente. L’idea originaria era nata da Marco, con cui lavoravo in Casa Del Mirto, il gruppo che ho seguito dai tempi di The Nature fino a pochi mesi fa, per far riprendere l’attività a Luca, che era un amico di vecchia data: così è nato l’EP, che è molto distante come sonorità da quello che facciamo adesso. Quindi si può dire che il progetto sia nato e morto con quell’EP, che abbiamo fatto per il piacere di farlo. Poi, a distanza di un po’ di tempo, per una serie di coincidenze e anche di desideri comuni di me e Luca di fare qualcosa di nostro al 100%, abbiamo deciso di riprovare a fare qualcosa. Io ho iniziato a fare delle basi e a girargliele; quando mi tornavano indietro capivo che la cosa funzionava.

Marco che fine ha fatto invece?
A questo punto aveva già abbandonato il progetto, per dedicarsi totalmente a Casa Del Mirto, che è un progetto che richiede molto impegno, come ho potuto sperimentare in prima persona. Tra l’altro il caso ha voluto che il nuovo disco di Casa Del Mirto sia uscito per Ghost Records, che è la stessa etichetta per cui uscirà il nostro. In realtà i due dischi sono arrivati separatamente all’etichetta ma poi ci hanno voluti entrambi.

Quindi cosa dobbiamo aspettarci dal disco in arrivo? Quali sono i punti di contatto con l’EP e cosa invece è cambiato completamente?
L’EP è stato un processo creativo più istintivo, mentre questo è un lavoro più ponderato, anche dal punto di vista della produzione. Pur essendo un prodotto fatto in casa il disco segna il nostro ingresso nel mondo della produzione. Io ho lavorato molto con Marco, mi ha insegnato tanto, ma questa è la prima volta in cui mi cimento con la produzione su un prodotto mio. Come genere questo disco è una cosa che ci rappresenta sicuramente di più, che sentiamo più vicino: è lontano da quelle atmosfere lo-fi, stile Animal Collective. Qui stiamo parlando di una cosa elettronica con un piglio molto pop, c’è la forma canzone praticamente sempre, con melodie orecchiabili su sonorità elettroniche che vengono da un mondo attuale.

Il disco è stato anticipato da On A Friday. È un esempio di come sarà il suono del disco? Per quale motivo è stato scelto per il lancio?
L’abbiamo scelto assieme con l’etichetta, c’era una rosa di brani papabili. On A Friday probabilmente è uno dei brani più orecchiabili del disco. Oltre a questa orecchiabilità ha in sé anche molte delle caratteristiche del disco: un certo tipo di elettronica, un certo tipo di suono e anche di immaginario. All’interno del testo ci sono le tematiche che poi accompagnano un po’ tutti i brani.

A me piace abbastanza anche la b-side, Happy People, che però resterà fuori dal disco…
È rimasta fuori dal disco, è vero. Quello è stato un esperimento giocoso, è una canzone molto più scarna. Solitamente io e Luca siamo molto lenti nel chiudere i pezzi: siamo veloci nell’abbozzarli, nell’idea iniziale, poi per gli arrangiamenti e il resto c’è tanto scambio, con modifiche su modifiche. Happy People era una bozza embrionale, che abbiamo deciso di chiudere e far uscire così per accompagnare il singolo, lasciandola volutamente scarna. Ultimamente l’abbiamo riregistrata per un video in veste acustica e ci siamo sorpresi ad accorgerci che probabilmente rende di più chitarra e voce che con quel poco arrangiamento che c’era.

Vedendo proprio il video di cui parli mi viene da chiedervi se le canzoni le scrivete così, chitarra e voce, o alle macchine?
Un po’ e un po’. La maggior parte delle basi musicali del disco sono nate sperimentando su virtual instrument, campioni, samples. Ci sono però alcuni pezzi che sono nati da giri di chitarra. Io personalmente vengo da quel mondo, la chitarra è il mio strumento e un po’ di cose inevitabilmente restano, mi riesce più facile abbozzare un pezzo con la chitarra ancora oggi, e lo stesso vale per Luca.

Nel disco ci sarà anche la cover di God di John Lennon. Com’è stato rielaborare in chiave elettronica un brano di quel tipo e di quel blasone?
Il processo che ci ha portato a fare quel pezzo è stato molto strano.Aa un certo punto avevamo un tot di brani e ci è venuto in mente di fare una cover. Luca, ancora più di me, è legato tantissimo al mondo dei Beatles, una cosa che spesso ritrovo anche nelle scelte melodiche che fa quando scrive, sulla voce e sugli arrangiamenti. Ci siamo quindi detti di fare una cover del “mondo Beatles”, dandoci due giorni di tempo per riaggiornarci e decidere cosa fare. Quella sera vedo un documentario in TV su John Lennon, risento dopo veramente una vita God e decido che è quella la cover che voglio fare. Praticamente in simultanea ci siamo scritti la stessa cosa, quindi era obbligatorio farla. Poi ci siamo avvicinati a quel pezzo come ci si avvicina a qualcosa di sacro. Qualcuno ci ha detto che avremmo dovuto cambiare il testo nel punto in cui viene citata Yoko, che avremmo dovuto mettere il nome della ragazza di Luca, ma non ce la siamo proprio sentita di farlo. Abbiamo cercato nel nostro piccolo di renderla più eterea, ci sono più synth rispetto al pianoforte anni Settanta dell’originale.

Avete fatto anche dei remix, sul vostro sito si possono ascoltare quelli dei brani di M+A, Casa Del Mirto e Mi And L’Au. Come vi approcciate al lavoro in quei casi?
Il remix è una cosa che ci diverte tantissimo, mi diverte dal punto di vista della produzione e mi diverte la direzione che abbiamo preso io e Luca. È molto bello lavorare ai remix, specialmente quando riesci a farlo su un pezzo che ti piace. Ho detto che l’approccio è molto divertente perché non ci limitiamo quasi mai a fare un remix canonico, ma dopo aver fatto il remix aggiungiamo delle parti, per esempio aggiungiamo delle tracce vocali di Luca, quindi diventa un remix e quasi anche un remake del pezzo. Degli originali non sempre teniamo molto: per gli M+A se non sbaglio ho tenuto abbastanza, pur modificandolo abbiamo tenuto molti elementi poi Luca ha aggiunto delle voci, mentre per quanto riguarda Mi And L’Au il beat non era semplicissimo quindi non è rimasto praticamente nulla, abbiamo tenuto gli archi e nient’altro. Dipende dal feeling che abbiamo verso il brano quindi.

Ci sono invece dei remix di vostri brani in arrivo?
Sta per uscire un remix di On A Friday che è il contro-favore che ci hanno fatto gli amici di Casa Del Mirto. Poi abbiamo anche un po’ di contatti per il futuro secondo singolo, ma dobbiamo ancora vedere se si concretizzeranno.

Abbiamo appena citato Casa Del Mirto e abbiamo parlato anche degli M+A. Vi sentite quindi parte di una scena di pop elettronico italiana?
Il legame con Casa Del Mirto più che un legame stilistico, perché il disco un po’ si allontana da quelle sonorità, è un legame affettivo. Per quanto riguarda la questione della scena, è un po’ strano, perché capita che in un determinato periodo storico nascano formazioni che si esprimono in modo simile o con elementi comuni, poi quanto queste realtà si sentano parte di una scena è difficile dirlo. Questo si aggiunge al fatto che veniamo dalla periferia della periferia del panorama musicale, quindi non ci siamo mai sentiti molto parte di una scena. Penso che lentamente molti rapporti si consolidino e certe collaborazioni escano più naturali: penso a Casa Del Mirto e Welcome Back Sailors o a noi con gli M+A. Quello che invece vedo da ascoltatore e da fruitore di musica è che c’è un bel fermento nel mondo elettronico italiano. Quest’anno ci sono state delle uscite che mi hanno preso molto, penso ad esempio a Populous, anche se non è una sorpresa. È bello però vedere che anche in questo ambito ci sia una realtà tangibile.

Vorreste rivolgervi anche all’estero, come hanno fatto molte delle band che hai citato?
Sì, ci piacerebbe e ci stiamo muovendo in questa direzione. L’estero sicuramente non sta aspettando i To You Mom:, però diciamo che ci piacerebbe confrontarci con quel mondo, perché i gruppi che hanno formato me e Luca non sono italiani, se penso a quello che ascoltavo quando avevo 13-15 anni, quando mi sono creato un gusto, di italiano c’era ben poco.

Per descrivere il vostro suono si citano gli anni Novanta, ma io ci sento anche gli anni Ottanta, per l’uso dei synth e non solo. Quale dei due decenni preferisci musicalmente?
In realtà gli anni Duemila, che portano con sé i due decenni precedenti. Detto questo ci sono dei mostri sacri imprescindibili dell’elettronica in entrambe le decadi. Un momento di gloria e di invasione del mainstream come negli anni Ottanta è difficile che possa riproporsi, perché spesso l’elettronica era molto legata alla musica pop, cosa che poi è rimasta, ma se penso all’elettronica che ascolto oggi difficilmente è roba che passa in radio se non in rarissimi casi. È elettronica che quando la ascolti ti fa pensare ad elementi anni Ottanta, ma anche Novanta, quindi posso dire che la preferisco ibrida.

Penso che ora inizierete a portare in giro il disco con dei concerti: come sarà il vostro live? Sarete solo voi due sul palco?
Da principio saremo solo noi due, perché ci piace l’idea di portare in giro il progetto nella sua forma “originaria”, noi l’abbiamo fatto e noi vogliamo proporlo. Avremo un sacco di roba sul palco per riuscire a riproporre il più possibile il suono, anche se alcuni pezzi avranno degli arrangiamenti “asciugati”. Per il futuro chissà, il terzo elemento potrebbe diventare utile, anche se è difficile includere qualcuno nel progetto perché bisogna trovare una persona che si affezioni comunque al progetto.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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