martedì, Marzo 19, 2024

Gomez – Whatever’s On Your Mind (Full Time Hobby, 2011)

Basta un solo album per rendere onori e gloria ad un gruppo, per i Gomez questo è successo con Split the Difference, sesto disco in studio rilasciato nel 2004 e acclamato dalla critica come conferma in toto del talento dei cinque inglesi. La loro carriera si sviluppa in contemporanea con la fine annunciata del britpop (ad esempio in quell’epoca i Blur smontano in tutto e per tutto la loro fama da allegri bontemponi con due dischi difficili come Blur e 13), e il lungo cammino per l’avvio dell’indie rock. In quel frangente temporale i Gomez vanno a pescare nelle tradizioni anglosassoni più innovative, come le ispirazioni indiane dei Beatles, miscelandole con la pazzia consapevole di Tom Waits. Ne nascono capolavori “a modo loro”, come Bring It On del 1998, ripieno di toste sperimentazioni figlie dei fiori e dei loro cannoni, e il successivo Liquid Skin del 2001, indiano ed acido ma con quella presunzione british inevitabile. Un impatto violento con la musica, esordi autoprodotti con i fiocchi. Nel momento in cui rilasciarono How We Operate, i cinque di Southport lasciarono troppo cedere la mano a preziosità acustiche scarne e non richieste. Il ruolo di alfieri folk pop non si addiceva, c’era bisogno di più pepe per alzare la posta in gioco. Split the Difference, il fratello mediano tra il vecchio e il nuovo corso, dosava in parti diseguali mid tempo fuori controllo con lenti da brividi, dove i primi scavalcavano i secondi. Un altro episodio ci divide dall’oggetto di questa recensione, Whatever’s On Your Mind, cioè A New Tide del 2009, più ispirato e divertito, che li riconcilia in parte con i fans della prima ora attraverso tracce easy ma di eccellente fattura come If You Ask Nicely e un singolo molto evoluto dal punto di vista compositivo come Airsteam Driver. Arriviamo ad oggi. I Gomez sono un gruppo affermato e benvoluto sia negli States che in patria, e i meriti li hanno conseguiti sul campo oltre che su disco. Whatever’s On Your Mind si pone come sintesi abbastanza compiuta della loro carriera più che decennale, senza manipolare fino alle estreme conseguenze le canzoni dalla naturale struttura pop come per i primi dischi, nemmeno creando l’opposto, cioè addolcire ulteriormente ciò che è fatto di miele. Options fa da apripista e primo singolo: niente di più azzeccato, un ritornello che fa ondeggiare la testa ad occhi chiusi, sognando una giornata perfetta di sole. I Will Take You There rientra nell’elettronica moderata, con un moog fuori sincrono rispetto alla sezione ritmica, deliziosa come Chicken Out e la più conosciuta Catch Me Up, elaborando in chiave moderna la storica frase “let me take you down” di Strawberry Fields Forever. La title track basterebbe da sola a confermare la sufficienza piena al disco, per la morbidezza e l’uso accorto dell’orchestra. The Place and the People cerca di mischiare elettronica e acusticità con risultati discutibili, meglio va con Song in My Heart, melange di discomusic e minimal, quasi una cover di Madonna (forse composta sotto l’influenza della cover di Only Girl in the World di Rihanna). That Wolf appare come gli Snow Patrol ma si conferma Gomez al 100%. I Gomez del 2011 si propongono più sintetici negli arrangiamenti senza essere essenziali, e senza lasciare la loro impronta sulle tracce, sia a livello compositivo che musicale (ancora tanto di cappello al batterista Peacock). Le canzoni ci sono sempre state, in ogni disco, mai un calo o un blocco dello scrittore. Solo che anche la forma ha la sua ragione di esistere. Proprio per questo i fans e il sottoscritto non potevano chiedere di meglio.

Gomez in rete

Elia Billero
Elia Billero
Elia Billero vive vicino Pisa, è laureato in Scienze Politiche (indirizzo Comunicazione Media e Giornalismo), scrive di dischi e concerti per Indie-eye e gestisce altri siti.

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