martedì, Marzo 19, 2024

Fantastic Negrito, tra le radici e il futuro: l’intervista

Il tuo ultimo album, Last Days of Oakland, richiama esplicitamente alla città degli Stati Uniti. Che influenza ha avuto nella stesura dell’album?

Oakland è una città ricca di stimoli, ma anche di problemi. Nell’album ho cercato affrontare entrambi gli aspetti, di fare una sorta di ponte fra gli aspetti positivi e negativi. In fondo Oakland è una città come molte altre negli USA; l’album avrebbe potuto chiamarsi The Last Days in New Orleans e l’effetto sarebbe stato uguale. Ovunque assistiamo a soprusi, prevaricazioni e episodi che testimoniano diseguaglianza. Il fatto che questo accada a Oakland o a New Orleans in fondo diventa quasi irrilevante. Il punto chiave, per me, era parlare della trasformazione e del cambiamento e, in un certo senso, di quanto sia difficile inserirsi in una città o una grande metropoli che cambia di continuo.

Sei stato in tour con diversi gruppi alcuni dei quali dichiaratamente politicizzati (De La Soul, The Fugees, Arrested Development ndr). Ritieni che la tua musica abbia un messaggio politico.

Non è quello che mi interessa. Noi siamo artisti, musicisti, non vogliamo fare politica. Al massimo possiamo dare il nostro punto di vista, raccontare storie senza la pretesa di riuscire a cambiare la prospettiva delle cose. In generale ritengo che la natura dell’uomo sia tesa alla prevaricazione e allo sfruttamento, come se fosse qualcosa di naturalmente insito nell’essere umano.

Fantastic Negrito, il video ufficiale di lost in a crowd

Come mai la scelta di Fantastic Negrito? Forse per via del tuo nome di battesimo piuttosto impronunciabile (Xavier Dphrepaulezz ndr)?

(Ride ndr) Anche, ma soprattutto ho scelto come pseudonimo per voler rendere tributo a tutta la black music e a tutti i protagonisti principali di quel periodo. Penso a Robert Johnson, Skip James, Charley Patton e potrei dirne molti altri ancora. Negrito è un richiamo ai miei antenati e alla gente che ha fatto della musica qualcosa di grandioso rendendolo uno strumento di lotta. Fantastic si spiega da sé mentre Negrito è anche un modo per manipolare una parola, “negro”, potenzialmente offensiva.

Hai parlato di “black music”, ritieni che la gente abbia una reale percezione di cosa sia la black music?

Qualcosa si sta muovendo, la gente mi sembra più consapevole o perlomeno più informata e questo mi lascia delle buone speranze per il futuro.

L’album richiama molto ai suoni tipici del Delta Blues ma non solo, ascoltandolo si ha anche l’impressione di sentire passaggi tipici del hip-hop. Si tratta di un genere che ti ha influenzato e ritieni sia corretta questa nota?

Assolutamente sì, sono cresciuto con l’hip-hop. Si tratta di una musica cruda e onesta, musica che racconta qualcosa nel modo più diretto possibile.

Lost in a crowd, live session

Prince è un nome che ricorre spesso nella tua biografia, associato prima al tuo contratto con la Interscope e tu stesso tu sei richiamato più volte a lui come esempio. Cosa ha significato per te la perdita di un simile artista.

 Prince è stato fra i miei idoli di gioventù e credo che il mondo intero abbia perso molto dopo la sua morte. Per quanto mi riguarda forse devo a lui il mio lato più “romantico”.

Che consiglio daresti ad una persona che si approccia per la prima volta alla musica?

Gli direi di non fare la star, di non cercare quel genere di successo da rivista, quella notorietà che di distrugge. Siamo musicisti, artisti in fondo, ma non politici non persone da rivista. Musicisti, gente che vive di ispirazione e cerca, in qualche modo, di trasmetterla agli altri. DI non essere il Donald Trump della musica.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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