giovedì, Marzo 28, 2024

Io odio gli anni ’80 – The Vaselines, l’intervista

Chi avrebbe mai detto che i Vaselines sarebbero passati da qui? La loro storia è fatta di incontri occasionali, ripartenze e piccole grandi soddisfazioni: un minitour italiano come questo, il primo dal 1987, non è cosa da mancare. Eugene Kelly e Frances McKee negli anni Duemila sembrano aver recuperato la voglia di fare e una certa convinzione, proprio quello che mancava loro più di vent’anni fa, quando, con due roventi EP e un solo disco all’attivo, decidevano di sciogliersi per non confrontarsi con l’insuccesso. La gloria a seguire è storia: Kurt Cobain porta in auge il nome Vaselines dichiarandosi spesso e volentieri fan del gruppo, coverizza tre loro brani, si esibisce con Eugene al festival di Reading e ci scappa qualche concerto insieme. Parte l’operazione “cult” e il revival Vaselines attraversa i decenni. Dal vivo sono come ce li aspettiamo: ironici, diretti, un po’ pasticcioni, un po’ in cerca di un facile fomento del pubblico. Il set inizia bene, nonostante qualche problema tecnico proprio sui momenti più rockabilly dell’ultimo disco (Sex With An X). Quando arriva Molly’s Lips l’effetto cult è fin troppo enfatizzato dal pubblico: “Datece i Nirvana!”, sento in quadrifonia. L’alchimia tra i due ex si fa sentire più nello scambio di battute tra un brano e l’altro che nell’esecuzione, accompagnata dai due Belle and Sebastian Stevie e Bobby rilegati a una posizione laterale di semioscurità, da cui controllano che i nostri non perdano la via maestra.  Frances è in vena di battute e ci regala qualche perla fin dall’inizio; Eugene è più silenzioso, ma risponde punzecchiando l’amica alla prima occasione: “Frances ci prova sempre con me, e io le ripeto: ‘ Sei una donna sposata, lasciami perdere’”. Dopo una buona porzione del live passata in sordina sui nuovi brani (sull’inno I Hate the 80s il pubblico non pare proprio d’accordo) tornano i pezzi storici e scatta l’adrenalina. Sex Sux (Amen) travalica i limiti d’età, You Think You’re a Man recupera alte dosi di goliardia per un lungo cambio d’atmosfera, che consegna a Dum Dum le ultime battute di sfogo. Abbiamo avuto venti minuti per chiacchierare con Eugene e Frances, due veri signori pronti a prendersi in giro e demitizzarsi alla prima occasione. Frances trascina la conversazione, Eugene ci scruta con un ghigno e interviene più timidamente. Non riescono a non scherzare, da brava coppia comica: per nostra fortuna gli elementi vincenti dei Vaselines non sembrano essersi sbiaditi.

Ciao Eugene, ciao Frances. Come state?

F: Benissimo, nonostante il freddo.

E: Non pensavo facesse freddo anche in Italia.

Questa data romana è la vostra prima apparizione live in Italia di sempre. Come è nata l’idea di un minitour italiano?

E: Mmm. Non mi è chiarissimo a dire il vero.

F: Siamo molto contenti di essere qui. Il tempismo era giusto. Se ci avessero chiesto di suonare tempo fa, non saprei… non eravamo sicuri potesse andare in porto. Sai, devi assemblare una band, trovare qualcuno che suoni con te. Questa volta si è incastrato tutto alla perfezione.

Bobby e Stevie fanno ormai parte della famiglia Vaselines…

E: Beh, diciamo che ci danno una mano. La nostra formazione live è cambiata in base alle occasioni, ma i Vaselines autentici siamo e restiamo io e Frances. Alcuni amici hanno suonato con noi spesso. Michael [McGaughrin] dei 1990s è stato con noi alla batteria in passato e dopo qualche anno è tornato nei nostri show. Ci piace che la formazione cambi di volta in volta.

Il vostro secondo album ha tardato vent’anni ad arrivare. È stato difficile tornare a scrivere insieme o l’alchimia tra voi due era quella di sempre?

F: Non è stato per niente difficile, affatto. Oserei dire che il tutto è riuscito con una certa facilità.

E: Per me è stato naturale come agli inizi!

F: Ti dirò di più, forse è stato più facile, perché entrambi venivamo dalle nostre rispettive esperienze soliste e da altre collaborazioni, per cui con il materiale dei Vaselines siamo tornati in un territorio “familiare” ad entrambi. Siamo stati molto efficienti.

E: Ci siamo dedicati negli anni al nostro songwriting, quando ci siamo ritrovati insieme abbiamo scambiato un bel po’ di idee.

Avete avuto per un attimo la tentazione di inserire elementi nuovi, che rispecchiassero maggiormente i vostri percorsi solisti o l’esigenza di riportare in vita il suono dei Vaselines storici era troppo forte?

E: Bella domanda…

F: Penso che l’obiettivo primario fosse catturare di nuovo lo spirito dei Vaselines e mettere in risalto gli elementi che li hanno fatti funzionare nel tempo, nonostante tutto. Per esempio abbiamo lavorato molto sulle voci, sul cantare insieme. Forse è proprio l’incontro delle nostre due voci ad aver funzionato.

E: Non essendo stati in giro per un bel po’ dovevamo renderci riconoscibili.

F: Al contempo non volevamo sentirci limitati da quello che abbiamo fatto in passato. Credo che a un certo punto dovremo persino smettere di pensare a quello che eravamo e agire spontaneamente, agire secondo natura. Penso che con questo secondo album abbiamo iniziato a fare le cose naturalmente.

I vostri due album solisti e molte delle vostre collaborazioni, specie la breve esperienza dei tuoi (n.d.r. di Frances) Suckle o le parentesi folk di Man Alive (n.d.r. album solista di Eugene) mostrano un vostro lato più meditativo. Secondo voi ci sono dei vaghi riflessi di queste esperienze in Sex With an X?

F: Sì. Canzoni come Whitechapel ed Exit the Vaselines riflettono senza dubbio il nostro lato più riflessivo, probabilmente più il mio, ma non in modo diretto, piuttosto per caso.

Leggendo vostre interviste, biografie e le liner notes delle vostre raccolte l’aspetto “leggendario” dell’esperienza Vaselines degli anni Ottanta balza all’occhio: disinteressati, scazzati, demoralizzati e smembrati appena uscito il primo disco. Io ho 26 anni e devo fidarmi di questi racconti…

F: Oh, ci fai sentire vecchi. Vieni dalla mammaaaa!

Tutto vero dunque?

E: [Ride] Abbastanza. Quando abbiamo fatto il primo disco la risonanza era scarsa, limitato il pubblico e i pareri di chi l’aveva comprato. Non c’era la sensazione che potesse trasformarsi in un primo passo verso il successo.

F: Erano tempi diversi. La gente non faceva necessariamente musica con l’ottica di fare carriera. A noi era toccata quella sorte fin da subito.

E: Se ti togli dalla mente gli anni Ottanta dei Duran Duran e degli Wham! devi visualizzare un’orda di band rock underground per cui anche solo l’idea di registrare, mettere su disco qualcosa era un miracolo. Piacevano cose diverse da quelle che facevamo noi e la cricca degli appassionati di rock indipendente. Lo facevamo soprattutto per noi stessi, era davvero qualcosa che sentivamo nostro perché usciva fuori dal nostro divertimento, il concetto di carriera non ci entrava in testa.

Quali sono i vostri ricordi più belli di quel periodo?

E: [Guarda Frances] Ce ne sono?

F: [Ride]. Ne dubito. No, dai. Il mio ricordo più bello in assoluto è la fase di incisione del nostro primo EP Son of a Gun. È stato super-divertente. Non eravamo mai entrati in studio prima, avevamo un ingegnere del suono fantastico a tenerci per mano, Gordon Rintoul, Stephen dei The Pastels come produttore e un altro nostro amico alle tastiere, Aggy Wright. È accaduto tutto in fretta, ma il divertimento non è mai venuto meno. Al contempo nessuno ci ha fatto sentire incompetenti in materia, c’era un clima completamente amichevole.

E: Sì, effettivamente anche io ricordo quel clima. Con il secondo EP Dying for It già le cose iniziavano ad andare in modo diverso. L’ingegnere del suono era un tizio strambo che non avevamo mai visto prima, aveva un atteggiamento un po’ paternalistico, pensava fossimo spazzatura e ci trattava un po’ come tale. Con il primo album Dum-Dum siamo tornati a un clima rilassato e divertente.

Nonostante il gap temporale tra i due dischi molte cose sono rimaste le stesse, tra cui i testi alquanto sconci e il sarcasmo in materia di religione. Nel video di Sex With An X impersonate un prete e una suora malandrini. Siete una coppia comica efficace!

E: Lo pensi davvero?

F: [Ride]. Probabilmente è vero!

E: Per quanto riguarda i riferimenti religiosi deriva tutto dalla nostra educazione, siamo stati tirati su in un ambiente cattolico piuttosto rigido e in un modo o nell’altro certi “dogmi” finiscono per far parte di chi sei, della tua vita, anche se decidi di prenderne le distanze o ironizzarci sopra. In un certo senso ci riferiamo a persone che predicano cose che noi stessi non riusciamo fino in fondo a capire.

F: Sicuramente sai di cosa parliamo, visto che abiti qui!

Eh già! In My God’s Bigger Than Your God affrontate la questione in toni più seri…

E: Essendo passati vent’anni è normale che si sia acquisita una maggiore consapevolezza di ciò di cui andiamo parlando. Allora era più un modo per far sentire la nostra voce, adesso andiamo più dritti al punto.

Cosa pensate delle band nuove che vi annoverano tra le loro influenze maggiori?

F: Siamo sorpresi. Abbiamo incontrato le Dum Dum Girls e alcuni altri. Io penso che se siamo riusciti a influenzare qualcuno è… un miracolo! Abbiamo avuto l’occasione di incontrare un gruppo, uno di loro assomiglia a te, per altro; sono di Portland, Oregon e si chiamano Loch Lomond. Stanno per uscire su un’etichetta scozzese e sono andata a sentirli. Hanno chiesto di incontrarmi perché i Vaselines sono stati per loro di grande influenza e io ho pensato: “Caspita, sono davvero bravi loro, però!” [Ride]. A parte gli scherzi, ci fa molto molto piacere.

Penserete invece peste e corna del revival synth – anni Ottanta che continua imperterrito.

E: Sì, ammetto. Probabilmente ti riferisci alla canzone I Hate The 80s. Il nostro obiettivo era prendere in giro chi crede di aver capito gli anni Ottanta e li considera un’epoca stupenda.

F: Noi c’eravamo e ti garantisco che buona parte di quel periodo era spazzatura.

E: Grandi quantità di merda!

Ma vi sarà pur piaciuto qualche artista pop…

E: [Ride]. Ammetto. Mi piacevano i Depeche Mode, i Soft Cell e altri ancora.

F: Uh, i Kraftwerk. [Guardando Eugene] A te piacevano anche Mel & Kim a un certo punto.

E: No, non penso proprio.

F: Ma si che ti piacevano!

I vostri modelli erano ben altri.

F: Sì e spesso erano proprio nostri coetanei, gente che faceva le nostre stesse esperienze. Ricordo comunque con grande ammirazione i Jesus and Mary Chain. Eugene mi fece ascoltare quel disco all’infinito, lo trovavo incredibile. Ma ti ripeto, molto spesso l’ispirazione ci veniva dal contatto diretto con persone a noi vicine. Apprezzavamo soprattutto gruppi che mirassero a semplificare la musica, come i Television Personalities, ci lasciavamo influenzare da musicisti che sembravano dirti “Puoi farlo anche tu!”.

E: Questa sensazione proveniva proprio da Glasgow. Per noi il rapporto con Pastels ed Orange Juice è stato davvero fondamentale.

Avete qualche rimpianto riguardo alla vostra carriera?

F: Credo che il più grande rimpianto sia il non essere stati sufficientemente sicuri di noi stessi, fiduciosi, per così dire. Non siamo mai stati propriamente convinti di quello che facevamo nella nostra prima fase, molto era affidato al caso, in generale pensavamo di non piacere. Adesso, vent’anni dopo, tutto quello che mi interessa è divertirmi. So che quello è un buon metro di giudizio per quello che faccio.

E: Sì, sono d’accordo.

F: Strano! Per una volta! [Ride].

Mentre lavorate ai vostri progetti paralleli o al vostro materiale solista, vi capita mai di scrivere un pezzo e di pensare: “Questo potrebbe funzionare su un disco dei Vaselines!”?

E: Sì, capita, e ciò mantiene viva la speranza di un futuro per il gruppo. Abbiamo già del materiale nuovo. C’è un pezzo del mio disco solista che si chiama You’re Having My Sex e ho sempre pensato che potesse funzionare su un disco dei Vaselines.

F: Sì, penso proprio che la useremo.

Terzo disco in arrivo?

F: Mah, mah, vedremo! Rimaniamo speranzosi, ci piacerebbe molto.

Non molto tempo fa è uscita per Spin una vostra cover di Lithium dei Nirvana. Come è nata l’idea di renderla così cupa, quasi funerea?

F: Piace a un sacco di persone, a Eugene no!

E: No, non mi piace. Dobbiamo proprio parlarne?

E certo.

F: A te è piaciuta?

Molto. Quando le cover sono spiazzanti hanno fatto già metà del loro lavoro, no?

E: Sì, su questo sono d’accordo in linea di massima.

F: Anch’io. Quando fai una cover devi per forza trasformarla. E poi l’abbiamo fatta alla maniera dei Vaselines, senza pensarci troppo su, senza dedicarci troppo tempo.

È qual è invece l’audience tipo dei Vaselines dell’ultimo periodo? Non riesco davvero ad immaginarla.

E: [Ride]. Neanche noi. Negli anni Ottanta c’erano un sacco di giovani, ad esso tende ad esserci un pubblico un po’ più “anziano”. A me piace tendenzialmente suonare davanti a un pubblico giovane.

F: [Rivolta ad Eugene] Un pubblico di giovani donne, vorrai dire.

E: Beh, perché no? Continuo a coltivare il desiderio di parlare a un pubblico misto.

Che non vi faccia sentire più retro del previsto…

E: [Ride] Esattamente.

Ultima domanda. Nel vostro Electronic Press Kit dell’ultimo album vi intervistate l’un l’altra mostrandovi scazzati e reticenti. Una vostra personale satira contro la stampa musicale?

E: In realtà più che contro la stampa in sé è contro i nostri colleghi artisti. Abbiamo visto un po’ di queste autoproduzioni per promuovere dischi in uscita ed erano davvero preconfezionati in maniera arida e insipida. “Ci chiamiamo X, abbiamo registrato dal… al, nello studio tal dei tali…”, che noia!

F: Volevamo prenderci gioco di loro. Dovremmo avere un nostro show comico in tv.

Grazie di tutto, Vaselines. Son molto contento di vedervi dal vivo, chissà quando ricapita!

E: Eh, sì caro. Che ne sai, magari ci rivediamo tra vent’anni.

The Vaselines in rete

 

 

Giuseppe Zevolli
Giuseppe Zevolli
Nato a Bergamo, Giuseppe si trasferisce a Roma, dove inizia a scrivere di musica per Indie-Eye. Vive a Londra dove si divide tra giornalismo ed accademia.

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