venerdì, Marzo 29, 2024

Minus the bear – lost loves: la recensione

Minus the Bear tirano le somme sul loro songwriting, crocevia tra un pop calibratissimo e le derivazioni geometriche e “post rock” dei riff chitarristici, e lo fanno con una raccolta di B-sides e rarità che per svariate ragioni non hanno visto la luce nell’economia dei cinque album che costituiscono la loro discografia.

Niente di nuovo quindi se non un buon documento di quello che è l’essenza principale della band, sempre a metà tra la vocazione innodica ed epica (Surf’n’turf) e la retorica muscolare e post-hardcore da cui provengono, di tanto in tanto contaminata con l’utilizzo di un’elettronica tamarrissima, tanto che a volte si ha la sensazione di aver a che fare con un mostro sonoro dalle caratteristiche schizoidi, che mette dentro un po’ di tutto, dal pop fm al soul di Hall and Oates fino al grunge anni ’90 che forse rimane uno degli elementi più chiari e coerenti di tutta la loro parabola.

Tra i brani della raccolta, Walk on air è quello più esemplificativo, costruito su uno scheletro minimale non così distante dall’approccio più metallico dei King Crimson, sembra più un brano degli ultimi Yes, quelli ultra-pop, con tanto di coda tastieristica barocca e un recupero posticcio di suoni simil-mellotron, che non un gioco di intarsi frippiani. Questo non significa che Minus the bear non abbiano un loro “suono” e la dimostrazione è la generale concisione delle dieci tracce contenute nella raccolta e composte lungo un periodo di tempo ampio quanto la loro carriera. Dieci anni di un sound che non si è mai spostato di un millimetro, nel pasticciare questo ibrido tra tendenze da stadio e vocazioni pseudo-autoriali, e non è necessariamente un bene.

Ugo Carpi
Ugo Carpi
Ugo Carpi ascolta e scrive per passione. Predilige il rock selvaggio, rumoroso, fatto con il sangue e con il cuore.

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