giovedì, Aprile 25, 2024

Hellboy di Neil Marshall: frastornante, confusionario, già visto.

Durante la visione dell’Hellboy di Neil Marshall a crescere senza soluzione di continuità non è un’onda di esaltazione divertita bensì la percezione di una povertà espressiva importante e come suggeriscono varie problematiche produttive, conseguente alla carenza di una direzione narrativa chiara e di una modalità comunicativa coerente.

Il reboot del personaggio creato da Mike Mignola racconta infatti più la storia di un grande pasticcio avvenuto dietro la macchina da presa che quella del demone emerso dalle viscere dell’inferno e accudito da un professore come arma contro i mostri del sottosuolo mitico. A nulla serve il ricambio di atmosfera decisamente meno steam-punk e molto più rockettara e quello di alcuni personaggi, strategia utile a passare una mano di vernice sul corpo del protagonista interpretato da un dedicato David Harbour e sugli ambienti del suo mondo: il tentativo di infiammare di novità l’arco dell’avventura tra giganti, streghe di millenaria malvagità, confronti famigliari demoniaci e apocalissi a bordo della civiltà si traduce solo in uno spettacolo pompato privo di contenuto e anche di divertimento.

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#F39007″ class=”” size=””]L’insufficienza qualitativa del film è accentuata in primis dalla grande complessità visuale legata alla radice del fumetto. La stratificazione dei linguaggi filmico, fumettistico e videoludico, che sembra un obiettivo presente, anche se in latenza, nella regia di Marshall, non è infatti valorizzata dall’uso delle immagini, che mai si rivelano in grado di sintetizzare con robuste costruzioni di senso i registri dei diversi medium.[/perfectpullquote]

L’incrocio di riferimenti visivi è intorbidito dalla condensazione bulimica di dettagli necessari per trainare lo spettatore lungo uno storytelling pressato dalla necessità di raggiungere una serie di obiettivi narrativi, da spuntare secondo il percorso di marcia in vista del sequel: la storia, essendo piena di azione, continui avanzamenti e lunghe spiegazioni, deve raccontare moltissimo e deve farlo in maniera semplicistica  per introdurre il franchise a potenziali spettatori di nuova generazione, e il risultato è una cascata di informazioni non tanto tradotte in immagini quanto appesantite dall’impostazione visiva confusionaria e dall’assenza di programmazione del racconto.

La pessima gestione della complessità della storia trasforma la densità del film in una scarica di stordente frastuono visivo, presente sempre sullo schermo: un muro cacofonico denso e piatto, teso alla continua e peggiorativa autoesaltazione, indifferente sia alla chiarezza necessaria per l’introduzione sensoriale a un mondo magico fatto di sensazioni epidermiche sia al senso di esaltazione epica che i racconti fantastici necessitano per appassionare.

La mitologia di questo Hellboy, che tanto cerca di costruire un cosmo di dettagli in pochi convulsi minuti, è piegata alla caciara fatta passare per convulsione rock e non possiede alcuna carica di significato e di mistero: l’affascinante storia del demone odiato dagli uomini ma toccato da un’empatia superiore non si conferma né pretesto per affrontare in chiave fantasy il tema della diversità né tavolo di ribollenti idee votate al divertimento, bensì un’operazione commerciale priva di senso, solo piena di esplosioni di sangue sempre meno utili e carrellate di esseri sempre più già visti.

Leonardo Strano
Leonardo Strano
Primo Classificato al Premio "Alberto Farassino, scrivere di Cinema", secondo al premio "Adelio Ferrero Cinema e Critica" Leonardo Strano scrive per indie-eye approfondimenti di Cinema e semiotica. Ha collaborato anche con Ondacinema, Point Blank, Taxidrivers, Filmidee, Il Cittadino di Monza e Brianza

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