Home alcinema Ruth & Alex – L’amore cerca casa di Richard Loncraine: la recensione

Ruth & Alex – L’amore cerca casa di Richard Loncraine: la recensione

La vocazione di Richard Loncraine è quella teatrale, aspetto chiaro fin dal suo secondo film, Full Circle, horror dimenticato della fine degli anni settanta che con modalità più suggestive dei suoi titoli a venire circoscriveva il dramma della perdita nello spazio intimo di una casa, mettendo al centro il corpo di Mia Farrow come se si trattasse di uno still life nello spazio neutro approntato per un monologo.
In questa bizzarra interpretazione della scrittura di Peter Straub c’era già in nuce tutta la chiusura del cinema del regista britannico, esplicitamente Shakespeariano solo una volta attraverso il suo film di maggiore successo, quel Riccardo III ambientato in un’immaginaria inghilterra degli anni ’30, ma implicitamente devoto al Bardo dell’Avon in quasi tutti i suoi film, con una propensione al dialogo che tende quasi sempre ad appiattire lo spazio visivo sulla parola e il motto di spirito, dimenticandosi in buona sostanza di fare cinema, anche quello più tradizionale e onesto.

Ruth & Alex fa il paio con il più recente My One and Only, almeno nella struttura apparentemente itinerante. Al viaggio verso Los Angeles di una madre in cerca di una nuova vita si sostituisce quello nel tempo della propria città di Alex (Morgan Freeman) e Ruth (Diane Keaton), vissuti per anni in un appartamento newyorchese e ora in procinto di venderlo per muoversi in uno spazio più adatto alla loro età.
Tratto dal romanzo di Jill Ciment intitolato Heroic Measures, il film di Loncraine smussa gli aspetti più aspri del libro della scrittrice americana, soprattutto lasciando sullo sfondo la progressiva riqualificazione dell’East Village e il contrasto culturale con la parte economicamente più florida della città, occasione persa sul piano cinematografico per l’interesse manifesto nei confronti di quelle schermaglie che passano come un rullo compressore su tutto il film.

Isolata dal contesto privato, New York non emerge attraverso le sue ferite né urbanistiche né sociali, occupando al contrario una posizione oleografica nei continui salti tra passato e presente, dove la mutazione della città viene mostrata con una serie di stereotipi che non riescono a raccontarne l’intima essenza. Del viaggio e dello stupore della scoperta Loncraine non sa cosa farsene, più preoccupato a curare gli interni come involucri adatti ad accogliere i frizzanti battibecchi di due attori notevoli, salvo poi distinguerli con alcune approssimazioni superficiali legate per lo più all’immagine di uno spazio da riempire con i ricordi del passato, innesco che in mano ad un regista di talento superiore avrebbe potuto accendere più di una fiamma.

In questo senso Ruth & Alex è come una versione di Love is strange sospesa in un luogo asetticamente fuori dal tempo e se riesce a commuovere lo fa grazie alla capacità di Freeman e della Keaton di trasmettere un sentimento con i volti e i gesti.

 

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