Transe, l'ultimo film di Teresa Villaverde è anche una coproduzione Italiana; da noi non è mai uscito; si può correre ai ripari acquistando il DVD in edizione Portoghese.
Agli inizi degli anni ’70, Peckinpah era un noto macellaio. Film come The wild bunch (1969) o Cane di paglia (1971) ebbero non pochi problemi di censura, e sollevarono questioni morali tanto discusse quanto di lana caprina. Alla fine, i veri macellai furono i responsabili delle theatrical versions dei suoi film, spesso ridotti a reduci di guerra senz’arti né, purtoppo, parti.
Un esempio di cinema medio, armato di un discreto talento visivo e di un gusto mai banale nel riprendere un Paese che ci arriva troppo spesso in pasticche di stereotipo. Medio perché tutto pialla, dal dialogo casalingo all’omicidio efferato. Il pubblico vede ma non sente.
Dopo l’ottimo Last life in the universe passato a Venezia nel 2003, dopo voci di corridoio, inciampi e procrastinazioni, sbarca in concOrso a Berlino il nuovo film di Pen-ek Ratanaruang. Co-produzione d’ampio respiro e dream team tecnico, con Christopher Doyle alla fotografia e Hualampomg Riddem al soundtrack, entrambe colonne – audio/visive – portanti di una pellicola che sarebbe un delitto non riuscire a vedere al di fuori del circuito festivaliero.
Girato a Parigi tra palazzi svettanti, macchine di lusso e appartamenti lussuosi, è un film decisamente urbano, centrale, che sceglie un focus molto diverso rispetto alla tradizione – ottima, ottima davvero – provinciale e borghesotta in cui Chabrol è solito dilettarsi in entomologia, e la Huppert in sublime crudeltà. Chabrol, un po’ come Flaubert, compila da sempre un suo personale Bouvard e Pécuchet: uno stupidario umano condito con salse diverse, di solito gialle e criminose. Di quel giallo quieto e casalingo che piaceva tanto a Friedrich Dürrenmatt in testi come Il giudice e il suo boia.
Dopo il pregevole documentario-mignatta Lost in La Mancha (2002), i sodali Fulton & Pepe aprono la sezione collaterale del Festival di Berlino con un film, a detta loro, punk. Che vorrebbe scaracciare sul pubblico, anche se gli effetti speciali a loro disposizione non gliel’hanno consentito. Amen. La storia è quella di due gemelli siamesi e conjoined – come Chang e Eng – che nel 1975 s’improvvisano musicisti… e inventano il punk. Questa è la superficie, a base di droga chitarre fracassate e bei cadaveri. Gli ingredienti profondi sono altri, e ben più cerebrali. Head music.