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Benoît Jacquot – Il cinema ha la sua profondità interna alla superficie: l’intervista a France Odeon

Abbiamo incontrato Benoît Jacquot in occasione della 50 Giorni di Cinema Internazionale a Firenze, nel contesto di France Odeon, il primo festival in ordine di tempo della kermesse cinematografica Fiorentina. Occasione per un'intervista face-to-face con il grande regista Francese, dove abbiamo parlato del suo cinema e del suo ultimo film, "3 cuori", in uscita il 6 novembre nelle sale Italiane con distribuzione Bim

Il suo ultimo film, “3 coeurs” comincia come un Noir, con Benoît Poelvoorde che ha appena perso l’ultimo treno della notte, trovandosi improvvisamente isolato in una stazione di provincia, sembra un uomo braccato, e mentre la musica di Bruno Coulais incalza, cresce una tensione “nera” che rimarrà costante per tutto il film, come a contrastare una storia di sentimenti, può raccontarci i motivi di questa scelta?

È importante che lei sia partito proprio da questo aspetto, che per me era fondamentale. Volevo dare a “3 coeurs”, dove la materia è sentimentale e passionale, un fondo di inquietudine, perchè credo che sia il colore principale dell’incontro amoroso, e proprio per questo volevo che rappresentasse la sostanza drammaturgica del film. Buona parte delle situazioni amorose descritte al cinema sono realizzate con i toni della commedia sentimentale, a me interessava mostrare la situazione opposta, l’angoscia che il sentimento amoroso può provocare. Chiunque, di fronte all’istante della dichiarazione, si trova al centro di questa tensione, la dichiarazione d’amore, spesso descritta come un bellissimo momento, quando la si vive da protagonisti è in realtà una condizione di profondissima angoscia. Un appuntamento amoroso identifica una situazione di grande drammaticità, che può causare anche svenimento; queste erano le sensazioni che volevo trasmettere con il mio film. Ma se ho usato la materia affettiva come punto di partenza, lo sviluppo e la costruzione del film hanno dei chiari riferimenti al cinema noir e al melodramma, sopratutto quello Hollywoodiano tra il ’40 e il ’50

Mi sembra che un’altra caratteristica di “3 coeurs” sia rappresentata dall’aritmia. Marc perde il treno; ha una malformazione cardiaca; i suoi incontri con Sylvie non hanno mai veramente luogo, o comunque sono spesso dislocati nel tempo e nello spazio. Mi interessava capire questa visione dell’amore, giocata sullo scarto, sulla mancanza di realizzazione del desiderio

La mia esperienza e la mia visione delle cose mi induce a pensare che il racconto amoroso metta insieme due diverse temporalità; è proprio nella contraddizione fra l’istante e la durata che emerge il dramma, per esempio in una vita matrimoniale il nodo drammatico è quello che si verifica fra l’istante e la necessità della durata.

Poco fa accennava all’influenza del cinema americano e in particolare a quello Hollywoodiano tra il ’40 e il ’50. Pensavo a come in molto del suo cinema, ma sopratutto in quest’ultimo film, ci siano riferimenti al melodramma di John Stahl o di Douglas Sirk, ma con una modalità che ne spezza le regole…

È necessariamente così; da un punto di vista storico il “melodramma” è la versione cinematografica della tragedia anche perchè sarebbe un errore chiamarlo effettivamente “tragedia”, pensando a Corneille e Racine. Il melodramma consente di utilizzare una certa natura tragica nel linguaggio odierno, ma anche se la sua natura narrativa si avvicina a quello Hollywoodiano degli anni ’50 non può essere la stessa cosa, perchè non sarebbe possibile applicarne le caratteristiche alla Francia del ventunesimo secolo, imitando John Stahl, anche se il riferimento al suo cinema è certamente molto presente. Ma non c’è solo Stahl, potrei pensare anche a Mizoguchi, a Raffaele Matarazzo, a Comencini; si tratta di una natura melodrammatica che è molto difficile considerare come un riferimento diretto, mentre è possibile trattarla come una reminiscenza. Il mio film è radicato nell’oggi, è per un pubblico contemporaneo perchè uno spettatore di oggi non riuscirebbe a porsi nello stesso modo di fronte ad un film di Matarazzo, come del resto non potrei chiedere ai miei attori di recitare come quelli dei film citati. È necessario trovare una relazione attuale a quella stessa emozione.

“3 coeurs” è una sua sceneggiatura originale, scritta a quattro mani insieme a Julien Boivent, avevate già in mente Benoît Poelvoorde per il personaggio di Marc, quando eravate ancora in fase di scrittura?

Ho pensato molto presto a Benoît Poelvoorde, dopo aver scritto poche pagine della sceneggiatura, oltre a questo, ci tenevo molto a coinvolgere un attore popolare, e Benoît Poelvoorde è molto popolare in Francia. Non volevo che potesse ricordare qualsiasi persona, ma chiunque, e non è la stessa cosa.

Mi sembra che il personaggio di Marc abbia delle caratteristiche che ricordano alcuni personaggi descritti da Henry James nei suoi romanzi. Lei ama molto Henry James e ha adattato la sua scrittura più volte, mi chiedevo se in relazione a “3 coeurs” ci fosse una sua personale elaborazione di alcuni temi Jamesiani…

La scrittura di Henry James mi accompagna da molto tempo, è un autore che si avvicina molto al tipo di narrazione che mi interessa, questo non significa che per “3 coeurs” abbia pensato a lui in modo specifico, anche se mi sento vicino alle sue opere in modo maggiore rispetto a quelle di altri autori. Ma trovo che lei abbia ragione se consideriamo il tipo di racconto che sottende a “3 coeurs” come un’occasione per fare un’imitazione, un “pastiche”, un “alla maniera di James”, per puro divertimento.

Trovo che la sequenza finale di “3 coeurs” sia straordinaria, perchè molto potente e fisica, ma allo stesso tempo visionaria e mentale; lei stesso ha definito il suo cinema come sospeso in un tempo mentale, ma io trovo che sia anche molto fisico, emozionale e performativo, che cosa ne pensa?

È un principio fondamentale per me, ovvero il fatto che il cinema permetta di raggiungere fisicamente paesaggi o geografie altrimenti mentali. Per poterli raggiungere è necessario essere il più possibile fisici, o fisiologici, ed è la caratteristica che distingue i buoni film da quelli meno riusciti, mi riferisco alla capacità di avvicinare uno spazio-tempo mentale attraverso una dimensione letteralmente fisica. Non esiste altro veicolo artistico che consenta tutto questo, come lo consente il cinema. Perchè il cinema ha la sua profondità interna alla superficie, ed è un paradosso. Questa definizione, se ci pensa, è molto Jamesiana.

Riguardo i personaggi di Sophie e Sylvie. A un certo punto nel film si dice che Sophie significa anche saggezza. Quindi Sylvie, che cos’è, anche pensando al significato etimologico del nome, che cosa rappresenta, l’aspetto più selvaggio?

Quando ho scelto i nomi dei personaggi femminili, mi interessava l’aspetto fonetico, la loro sonorità. E a questo proposito volevo che avessero un’eco, come un suono che rimbalza: So-phie, Syl-vie. Se invece si pensa all’etimologia entrambi i nomi vengono dal greco, saggezza per Sofia mentre Sylvie fa pensare a qualcosa di più selvaggio, che si riferisce alla natura selvaggia.

Lei ha già lavorato con Bruno Coulais per le musiche di alcuni suoi film inclusa la colonna sonora di “3 Coeurs”. Come si sviluppa la vostra collaborazione?

Fino a questo momento abbiamo instaurato un tipo di rapporto che consente a Bruno di inventarsi la musica dopo aver ricevuto alcune pagine della sceneggiatura; ovviamente gli fornisco alcune indicazioni di materia strettamente musicale che possono risultargli utili, come per esempio i tempi della partitura, gli strumenti da privilegiare, la scansione dell’intervento musicale all’interno del film, questo sempre in fase di scrittura. In questo caso particolare gli avevo indicato due elementi, il primo si riferiva al suono delle sirene durante i naufragi nelle tempeste, il secondo alle trombe utilizzate in tibet nei templi buddisti, sopratutto per quanto riguarda le note sostenute a lungo. In uno dei film che ho fatto con lui gli avevo chiesto di comporre un concerto per violino, registrato prima dell’inizio delle riprese. Quando ho cominciato a girare conoscevo già la musica. Mentre per il film che ho appena finito di girare alla fine della scorsa estate, ho chiesto sempre a Bruno di realizzare le musiche, ma l’ho contattato solamente adesso, alla fine del primo montaggio, è una situazione più classica del solito, dove si troverà a comporre sulle immagini.

Il film a cui si sta riferendo immagino che sia “Le Journal d’une femme de chambre” tratto dal romanzo di Octave Mirbeau, ho anche letto che adatterà un romanzo di Don DeLillo, “The Body Artist”, può darci qualche anticipazione?

Ho girato Le Journal d’une femme de chambre, quindi esiste, ci sono altri tre film possibili, ma fino a quando non li girerò non posso dire se esistono

Il futuro del cinema. Qual’è per lei? sto pensando al segmento che ha girato per il progetto Venezia 70: Future Reloaded. Qual’è quindi il futuro del cinema? è uno sguardo? un volto?

Fino a quando ci sarà il desiderio di filmare qualcuno, il cinema avrà un futuro. Per me è preferibilmente qualcuna.

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