sabato, Giugno 14, 2025

Caravan di Zuzana Kirchnerová: recensione, Cannes 78

Ester è una donna della Repubblica Ceca che vive da sola con David, il figlio con sindrome di down e con un disturbo dello spettro autistico. Libera e indomita, intraprende un viaggio in Italia a bordo di un Caravan. Il primo lungometraggio di Zuzana Kirchnerová è un’inedita disamina dei sentimenti che attraversano quelle madri che condividono il proprio spazio identitario con quello destinato alla cura per un figlio con disabilità. Cinema sensoriale per il modo in cui sollecita una risposta di questo tipo da parte dello spettatore, anche per interpretare e comprendere le ragioni del cuore e quelle del corpo vivente. Visto a Cannes nella sezione Un Certain Regard

Zuzana Kirchnerová arriva al primo lungometraggio dopo una serie di cortometraggi e un’esperienza documentaristica condivisa con altri autori della Repubblica Ceca. Il premio e l’attenzione ottenuta con Bàba, corto che nel 2009 vinse il primo riconoscimento della Cinéfondation a Cannes, le hanno consentito di sviluppare un progetto in co-produzione, all’interno di una serie di incubatori creativi, tra cui TorinoFilmLab, EAVE, MIA Market e When East Meets West. Caravan è ambientato nel nostro paese e questo ha garantito un sostegno apolide, che ha coinvolto il fondo audiovisivo della Repubblica Ceca e quelli regionali dell’Emilia Romagna e della Calabria.

Ed è un vero e proprio viaggio in Italia quello di Ester, la protagonista del film interpretata da Anna Geislerová, una delle attrici ceche più importanti e note. Viaggio nel senso rosselliniano del termine, come articolazione del visibile che tende al primato dell’esperienza rispetto a quello della narrazione.

Ospite di una connazionale in una regione del centro nord, la donna non è intenzionata a subire lo sguardo e il giudizio altrui sul modo di gestire la relazione con il figlio David, ragazzo con sindrome di down e con disturbo dello spettro autistico. Il pregiudizio che non concepisce l’impegno di una madre sola senza un aiuto esterno, la spinge ad allontanarsi da quel nido apparentemente accogliente, ma irrimediabilmente ancorato alla staticità della vita borghese.
Ester è un personaggio animato da un’insopprimibile voglia di libertà e dei suoi quindici anni spesi con David non ne conosciamo sfumature e difficoltà, se non attraverso i primi contrasti che la disabilità del ragazzo genera nella percezione della famiglia ospitante.

La paura che entri a contatto con i loro figli, il confinamento in un vecchio Caravan per non condividere le camerette, collocano la donna in uno stato di isolamento emotivo che può essere risolto solo con la fuga da quello spazio normato per non offendere.

Il film prende forma nel movimento del viaggio, come scelta di vita indeterminata e allo stesso tempo connessa alle possibilità di creare un cosmo di relazioni. Ma cosa accade quando il desiderio legittimo di esprimere la propria sessualità si infrange con l’attenzione necessaria per garantire sicurezza e affetto ad un figlio che deve essere seguito da vicino?
Caravan diventa allora un’inedita disamina dei sentimenti che attraversano quelle madri che condividono il proprio spazio identitario con quello destinato alla cura per un figlio con disabilità.
Si amplia una prospettiva tipica del racconto, anche cinematografico, quando lo sguardo è indirizzato alle persone che hanno bisogno di assistenza per svolgere attività quotidiane, cercando un’estensione inclusiva di quel discorso, che comprenda il difficile equilibrio di chi presta le cure, sospeso tra vigilanza attiva e il necessario abbandono nei confronti delle occasioni che la vita può offrire.
Su questo scarto, fatto di gesti e manifestazioni legate all’espressione del corpo,  Zuzana Kirchnerová crea le condizioni affinché il vibrante mettersi in gioco di Geislerová e David Vostrčil, possa esprimere contrasti e convergenze.

Si genera allora una drammaturgia in fieri, tutta inscritta nell’attenzione al movimento e ai piccoli epifenomeni dell’esperienza quotidiana. Da una parte David, il cui utilizzo ridotto della parola spinge la regista a cogliere aspetti alternativamente descritti da un’indomabile espressione fisica o dalla meraviglia che sorge rispetto alla percezione di un riflesso di luce. Tutt’intorno, di fronte, ma anche avanti a lui, la madre Ester, teneramente dilaniata tra l’attenzione ai dettagli e un ribollente erotismo che reagisce con la presenza mutevole e soverchiante del paesaggio.

Anche in questo senso torna la centralità del realismo rosselliniano, attraverso la ricerca delle differenze tra realtà esperita e polifonia della dimensione interiore. Questa non è mai dichiarata o sottolineata, ma rivelata dalle possibilità dello sguardo o nella biforcazione del gesto, quando desiderio e cura, erotismo e protezione, rabbia e amore, possono alternarsi senza soluzione di continuità.

La profonda leggerezza con cui Zuzana Kirchnerová disegna il campo visivo non pratica mai le stereotipie del pedinamento, ma immerge in uno spazio dinamico l’avventura dei corpi che possono raccontare anche i sentimenti, mai il contrario.

Viene in mente il trauma di Karin in Stromboli (Terra di Dio), soprattutto quando il viaggio di Ester raggiunge una Calabria assolata e attraversata da odori molteplici, anche sgradevoli.
Il contatto brutale con il lavoro, gli escrementi degli animali, i cani feroci dominati dal padrone e soprattutto la repulsione e la forte attrazione verso il fattore interpretato da Mario Russo. Si innescano e si canalizzano le molteplici forme del desiderio che Ester è capace di esprimere senza riserve e pudore, nel vitale abbandono al proprio spazio.

Le persone che incontrano e condividono il viaggio, soprattutto la ragazza Ceca interpretata da  Juliana Brutovská Oľhová, abitano l’attimo senza alcuna prospettiva che non sia quella determinata dall’incertezza della strada. Andare senza sapere dove, se non la costante invenzione di una realtà dietro l’altra che si accordi con la disponibilità del paesaggio.

Ecco che la prospettiva scelta da Kirchnerová risiede sempre nella tattilità, nell’assaggio, nella sabbia e nell’acqua, in un cazzo pulsante da afferrare, ma anche nel gioco delle luci naturali che sorprendono i corpi a viverne l’intensità.

Cinema sensoriale per il modo in cui sollecita una risposta di questo tipo da parte dello spettatore, anche per interpretare e comprendere le ragioni del cuore e quelle del corpo vivente.
Abilità e disabilità allora condividono un crinale sfumato e labile, dove la capacità o l’incapacità di vivere il momento, ciascuno con i propri strumenti, non sottende alcuna gerarchia, durante il viaggio che annulla i confini di terra, città e casa.

Attenzione e dimenticanza, cura dell’altro e di se, sembra suggerirci Kirchnerová senza offrire risposte dogmatiche e certe, risiedono nell’infinita potenzialità dei corpi di rivelare il mondo.

Caravan di Zuzana Kirchnerová (Repubblica Ceca, Slovacchia, Italia – 2025, 90 min)
Sceneggiatura: Zuzana Kirchnerová, Tomáš Bojar, Kristina Májová
interpreti: Anna Geislerová, David Vostrčil, Juliana Brutovská Oľhová, Jana Plodková, Mario Russo
Fotografia: Dušan Husár, Denisa Buranová
Montaggio: Adam Brotánek

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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