martedì, Ottobre 8, 2024

Diamante nero di Celine Sciamma: la recensione

Il femminismo di Céline Sciamma è quello intersezionale, attento ad osservare l'interazione fluida tra identità plurali senza necessità declamatorie. E il cinema della Sciamma, mai come prima, diventa fortemente politico con l'apparente leggerezza di un film modulato su ritmo, corpi e colori e l'intenzione di inventarsi un territorio apolide anche dal punto di vista della commistione di linguaggi. Diamante nero è un film dal grande fascino poliritmico che prima ancora di dirci come dovrebbe essere la realtà, ne racconta l'urgenza politica con tutta la gamma di contrasti, tra incontenibile forza vitale e angosciante incertezza.

È un film ricco di stimoli il terzo di Celine Sciamma, a partire dall’incredibile sequenza iniziale che mette al centro un team all black di ragazze durante una partita di football americano. Visione utopica, straniante e quasi fantastica rispetto al contesto della Banlieue dove la Bande de filles si muove seguendo solo in parte le tracce di quelle donne che in alcuni film dei primi anni zero, come La squale di Fabrice Genestal o Regarde-moi di Audrey Estrougo, affrontavano con alcune varianti la tradizione del cinema francese ambientato nei quartieri suburbani di Parigi.

Solo in parte si diceva perché la distanza, non solo temporale, con la genesi di un movimento come Ni Putes Ni Soumises consente alla Sciamma di evitare quella generalizzazione anti-islamica in cui è caduto il collettivo femminista nelle battaglie che ha ingaggiato con le posizioni più inclusive del Collectif féministe du Mouvement des indigènes de la République. In un certo senso, senza affrontare esplicitamente i temi che sono stati al centro di quel dibattito, la Sciamma sceglie una posizione sul bordo capace di osservare l’interazione fluida tra identità con tutti i nessi plurali che ne conseguono. L’approccio è quello situato, ovvero che tiene conto dei contesti in cui si sviluppano i diversi processi identitari, secondo i principi del femminismo intersezionale.

E il cinema della Sciamma, mai come prima, diventa fortemente politico con l’apparente leggerezza di un film modulato su ritmo, corpi e colori e l’intenzione di inventarsi un territorio apolide anche dal punto di vista della commistione di linguaggi. A partire dal cinemascope, scelto per potenziare graficamente l’architettura circostante, ma per stessa ammissione della regista francese, anche per ribaltare la mitologia della gioventù ribelle da West side story in poi, riferimento scopico che arriva a Bande de filles attraverso tutte le revisioni dello spazio performativo, dal cinema di Francis Ford Coppola passando dal videoclip di Scorsese per Michael Jackson fino alla città neotribale. Proprio questa viene ricreata attraverso il movimento coreografico dei corpi e l’emergere di segni – colori – luci intesi come elementi che plasmano lo spazio identitario delle protagoniste, tra le linee possibili del cemento.

Se si pensa alla flanerie progettata a tavolino nel cinema in viaggio di Josè Luis Guerin quella della Sciamma è al contrario animata da un movimento combinatorio che si manifesta su più livelli, offrendoci un’immagine della città esfoliata dal percorso di Marieme/Vic (Karidja Touré) e delle ragazze. Mentre la musica di Jean-Baptiste de Laubier (aka Para One), già con la Sciamma dai tempi di Naissance des pieuvres, costruisce i suoi soundscapes rielaborando i paradigmi di una club culture che si è sviluppata sopratutto in contesti suburbani, il film procede attraverso altrettanti segmenti che si aprono quasi sempre sulla composizione di linee.

Lo stipite di una porta, la cerniera di una tuta filmata in dettaglio, una parete di mattoni: è una mappatura di segni che si interseca con la geometria dei palazzi e l’improvvisa apertura di un orizzonte cementificato, quasi a stabilire una relazione morfologica tra corpi e sfondo con un procedimento non così distante da quello che Muriel Coulin ci raccontava durante questa lunga video intervista, parlandoci di Lorient, la città post-industriale della Bretagna dove ha girato 17 ragazze e che le aveva permesso di descrivere il rapporto tra corpo collettivo e corpo individuale.

Il colore in Bande de filles ha un ruolo altrettanto importante nel delineare uno spazio performativo di liberazione. Non solo il blu di quella che è già diventata una sequenza memorabile e che immerge nuovamente in una dimensione iperreale i corpi così vicini delle ragazze mentre cantano in lip-sync Diamond di Rhianna, ma anche il rosso del reggiseno strappato durante una lotta di auto-affermazione, quello del rossetto e delle unghie laccate che condividono lo spazio dello sfruttamento e dell’emancipazione sessuale. Segni che come la sequenza di football che apre il film, descrivono spazi eccentrici occupati dalla danza o dalla lotta, simili ai mondi del cinema africano selezionato da Derica Shields, re-immaginazioni fantascientifiche di una cultura esclusa e schiacciata ai margini delle periferie.

E se come ha raccontato in alcune interviste, il prossimo film della Sciamma potrebbe essere un horror femminista ambientato in uno spazio apolide mai immaginato, Bande de filles si muove già prodigiosamente tra realtà e astrazione linguistica, tra racconto di formazione e documento, trasformando lo spazio della Banlieue nel movimento danzante di una possibile riappropriazione.

Si diceva quanto la Sciamma sembra aver assimilato il discorso intersezionale senza la necessità di declamarlo; basta pensare ai personaggi maschili e al modo plurale in cui vengono rappresentati, senza che ci sia una marcatura esplicita o una funzione simbolica manifestata. Il fratello di Marieme è il modello violento che controlla la vita sessuale della ragazza con quella brutalità vicina allo stupro che è diventata bersaglio politico centrale per Ni Putes Ni Soumises, ma Ismaël (Idrissa Diabaté) il ragazzo di cui è innamorata esprime una dolcezza remissiva che la Sciamma filma con incredibile naturalezza nella sequenza in cui Marieme gli chiede di spogliarsi, mostrandoci una forma lieve di oggettificazione che ribalta improvvisamente i ruoli stabiliti entro le mura domestiche.

Allo stesso tempo il percorso identitario di Marieme/Vic è sottoposto a continui slittamenti di senso, tanto che la Sciamma lascia in una dimensione ambigua la trasformazione della ragazza, mostrando successive rappresentazioni del corpo e della sua volontà di rapportarcisi; dalla versione fatale come spacciatrice d’alto bordo alla costrizione delle forme mediante fasciatura fino alla tensione intrecciata che si manifesta durante la festa del boss Abou (Djibril Gueye), tra l’attrazione per una ragazza rappresentata attraverso il ballo e il tentativo di difendersi dagli abusi del padrone di casa.

Ed è proprio in questa sospensione che la Sciamma si conferma autrice di grande spessore anche nella capacità di gestire diversi registri e di farli confluire nella descrizione di uno spazio possibile, più interessata al valore polifonico degli elementi in campo che alla traduzione didascalica di un sentimento sociale.

A differenza della Girl Gang di Oates/Cantet, tragicamente vicina al tempo presente nel rovesciamento di tutte le utopie storiche statunitensi, quella di Bande de filles introduce certamente un’immagine di speranza ma senza alcuna intenzione conciliante.

Sono le immagini di danza ma anche gli scontri collettivi oppure i momenti in cui le ragazze vengono filmate in gruppo con quella pluralità di colori che contrasta con l’architettura plumbea. Veri e propri motivi musicali che determinano il procedere di un film fortemente poliritmico, ma dove la sovrapposizione tra luci, corpi e colori è parte attiva di un processo identitario complesso, che prima ancora di dirci come dovrebbe essere, ne racconta l’urgenza politica con tutta la gamma di contrasti, tra incontenibile forza vitale e angosciante incertezza.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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