sabato, Dicembre 14, 2024

Helle Nächte di Thomas Arslan – Berlinale 67, Concorso: la recensione

Due figure e un’auto nel paesaggio. Sembra Kiarostami, è Thomas Arslan in trasferta norvegese con un padre (Friedrich) e un figlio (Göbel, reduce da “Tschick” di Akın, 2016). La trama è esile ed esente da spoiler: muore il nonno che viveva solo in Norvegia, padre e figlio vanno al funerale e ne approfittano per vagare un po’ tra monti, vallate e licheni. Di mezzo c’è una separazione, con tutti gli attriti del caso.

Dopo il flop di “Gold” (2013), coraggioso tentativo di coniugare western e basso profilo teutonico, Arslan torna per un attimo a Berlino e azzarda un viaggio scandinavo senza gps. E se Matthias Glasner con “Gnade” (2012) aveva scelto l’eterna notte invernale, il regista di Braunschweig opta per le “notti chiare” dell’estate. La Norvegia non ha portato fortuna a Glasner. Ad Arslan va un po’ meglio.

Chi ha visto la famosa trilogia berlinese girata a cavallo del nuovo millennio sa quanto Arslan ami girare col freno a mano tirato, unendo pulizia formale, minimalismo e un pizzico di musica gelida, d’ambiente. La ricetta resta invariata anche in Helle Nächte (complice la colonna sonora di Ola Fløttum), per quanto un titolo così evocativo e la briga di andare nel profondo nord possano far sperare in una maggiore concentrazione di eventi.

Invece no. Non mancano pezzi di cinema: ad esempio una lenta camminata verso una catapecchia in fiamme o la soggettiva dell’auto che s’inerpica su un monte immergendosi via via nella nebbia. Manca la costruzione drammatica, anche se trattandosi di un intento scoperto non va a reale detrimento del film.

Il vero quesito interessa la cosiddetta Berliner Schule e i suoi dettami stilistici. Ha senso che autori come Arslan o Schanelec continuino a difendere il fortino? Ha senso, per il pubblico, andare a vedere un film del genere quando l’attualità europea ha tutt’altra agenda? E anche senza voler per forza parlare di crisi, populismi e richiedenti asilo, la triste verità è che i dintorni di Hallesches Tor, ormai, si ricordano perché Schipper c’ha fatto correre a perdifiato i protagonisti di “Victoria” (2015), non più per le emozioni apollinee di “Der schöne Tag” (2001). Il giovane protagonista di Helle Nächte sostiene di amare il rischio, ma la macchina da presa, di rischi, ne corre davvero pochi.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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