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I dieci film del 2016 per la redazione cinema di indie-eye

Questi i dieci film del 2016 per la redazione cinema di indie-eye.
Certain Women, il bellissimo film di Kelly Reichardt, ormai autrice di culto ovunque, è il primo della lista per svariati motivi, uno di questi è proprio la mancata distribuzione in Italia, come è accaduto per buona parte dei suoi titoli precedenti. Evidenti “scelte” soggettive, come quelle di questa lista, che potrebbero far storcere il naso a molti; siamo qui per servirvi.

Buon 2017

 

  1. Certain Women di Kelly Reichardt
    Certain Women è l’ultimo bellissimo film di Kelly Reichardt presentato al recente Sundance Film Festival e ancora senza distribuzione nel nostro paese. Un destino ricorrente in Italia per una delle autrici più importanti del cinema statunitense contemporaneo. Ispirato ai racconti di Maile Meloy e per la prima volta scritto per lo schermo senza Jonathan Raymond, Certain Women coglie quattro attrici straordinarie nella loro fragilità e contingenza, quando il flusso della vita quotidiana apre e richiude impercettibili cicatrici. LEGGI LA RECENSIONE
  2. Knight of Cups di Terrence Malick
    In Knight of Cups Il Cinema come corpo con Malick diventa esso stesso visione soggettiva; i personaggi ne fanno parte e non orientano gli elementi, al contrario si fanno inghiottire, cercano un contatto con i movimenti tellurici della terra, diventano frammenti di un occhio-cinema totale in continuo divenire, senza che l’orientamento di quella trasformazione sia un loro e un nostro dominio narrativo. LEGGI LA RECENSIONE
  3. Heart of a dog di Laurie Anderson
    Per quanto l’intimità non sia mai stata aliena ai lavori della Anderson, sopratutto nel tentativo di stabilire una sintesi complementare tra corpo pulsante e battito microfonico, device elettronico e danza, drum-machine e corpo, stand-up comedy e interattività, in questo commovente lavoro che ricorda in parte l’ “atto del vedere” nel cinema di Stan Brakhage, c’è lo spirito del medesimo amalgama nella relazione possibile delle storie con le immagini, attraverso la deriva ritmica, le soggettive che si annullano l’una nell’altra, dall’animato all’inanimato, dall’infinitesimamente piccolo all’invisibile, dal proprio cuore a quello di un cane. LEGGI LA RECENSIONE
  4. Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder
    La relazione tra cornice del dispositivo e sguardo e che in Man of steel adattava continuamente il secondo alla prima, con il percorso convulso, fuori fuoco e fuori margine di un occhio selettivo rispetto all’universo inclusivo dello schermo IMAX, con Batman v Superman: Dawn of Justice precipita verso la terra. Una caduta, con tutto il peso della dimensione umana. LEGGI LA RECENSIONE
  5. Il club di Pablo Larrain
    “El club” sembra ispirato alla descrizione terribile che Roberto Bolaño fa della società cilena nei suoi libri; “tempesta di merda” che diventa pensiero collettivo, una malattia che colpisce l’intera coscienza nazionale dove dolore e orrore sono ormai i tratti inscindibili di una società che non riesce a risvegliarsi dal coma profondo. LEGGI LA RECENSIONE
  6. Il figlio di Saul di László Nemes
    L’unica cosa che non è possibile “sentire” nel film di László Nemes è l’odore dello Zyklon-B, l’agente tossico dispensato dalle docce di alcuni campi di sterminio. La chiusura del formato, un 4:3 davvero asfittico, sembra indicare uno scopo diverso da quello simile usato da Xavier Dolan per Mommy; tanto la quadratura perfetta dell’1:1 doveva servire al cineasta canadese per avvicinarsi ai corpi, limitando la visione periferica in un esercizio di stile marcato proprio dal preciso scioglimento del formato, tanto il giovane regista ungherese lascia spazio ai margini dell’inquadratura per schiacciarli, quei corpi, in un inesorabile fuori fuoco, restituendoci un’idea ben diversa da quella delle utopie immersive e assimilando quindi parte della visione ad un viaggio nell’oscurità. LEGGI LA RECENSIONE 
  7. Veloce come il vento di Matteo Rovere
    Rovere fa un cinema che in Italia si produce raramente, lontano anni luce dall’autoreferenzialità che fa rima con autore, trovando senso nella pienezza del gesto, nella potenza dei motori, nella vicinanza dello sguardo al movimento mai riconciliato dei corpi. Come Loris si muove sul cordolo, in questo caso quello del genere, dal quale assorbe alcune regole e l’attenzione per il ritmo, per poi tagliarlo lateralmente secondo uno schema liberissimo, tutto istinto e intensità. LEGGI LA RECENSIONE
  8. Remember di Atom Egoyan
    Come Beckett con Krapp, Remember rileva la catalogazione di una memoria bloccata, non importa a chi appartenga veramente, perché in questo thriller rallentatissimo che come ha raccontato lo stesso Egoyan si assesta sui ritmi della vita del protagonista, quelli di una persona anziana, il movimento di Zev nel tempo è ostinatamente declinato al presente. Una conseguenza dell’esser ancora dentro e fuori dall’alzheimer che non gli consente di distinguere i morti dai vivi, ma anche il modo in cui Zev stesso entra in uno spazio fisico gravido di ricordi come se fossero bobine registrate a cui non è in grado di dare una collocazione. LEGGI LA RECENSIONE
  9. La Foresta dei Sogni di Gus Van Sant
    Ne “La foresta dei Sogni” la redenzione, il gesto nella direzione del recupero del sentimento, giunge in ritardo sugli eventi. La foresta, tòpos ricorrente nel sentire cinematografico di Gus Van Sant, è vero e proprio essere vivente che agisce sulle coscienze. LEGGI LA RECENSIONE
  10. Cavallo Denaro di Pedro Costa
    Costa stratifica apparizioni, figure famigliari, il lavoro in un cantiere, il fantasma della moglie morta e una serie di richiami visivi e verbali alla rivoluzione dei garofani del 1974, attraverso una chiave maggiormente espressionista, forzando gli elementi chiaroscurali e il confine tra luce e ombra sui margini dell’inquadratura LEGGI LA RECENSIONE

 

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