giovedì, Aprile 18, 2024

Il Campione di Leonardo D’agostini: la recensione

Raccontando il mondo del calcio da una prospettiva laterale e marginale, Il Campione riesce a non trasformare un presupposto ambientale fragile in un elemento di ridicolo involontario e a piegare a suo favore uno sport che si è dimostrato spesso incomprensibile per la drammaturgia cinematografica. Il film segue infatti, all’interno di una cornice sportiva fortemente connotata, la progressione di una storia di crescita identitaria, a cui la dinamica del pallone dona in più la famigliarità del contesto e una aggiunta nella stratificazione di senso.

La storia di Christian Ferro giovanissimo fuoriclasse della Roma che, a causa dei suoi comportamenti, per poter giocare è costretto dalla società a passare la maturità, si svolge infatti nel mondo delle partite, degli allenamenti e delle società sportive , ma è interessata alla prospettiva di un personaggio estraneo al contesto: il professore di lettere e filosofia interpretato da Stefano Accorsi, che deve aiutare il ragazzo a studiare e a comprendere il senso della sua passione, cercando di trovare il giusto metodo di insegnamento e superando un passato infelice.

Il film, a livello strutturale, gioca le carte migliori puntando sulla chimica tra il protagonista – interpretato da Andrea Caperzano, lanciato volto del cinema italiano, che presta personalità al personaggio – e la sua spalla, un Accorsi trafelato e scomposto, con un inconscio che si svela piano piano.

Il racconto esiste quasi in toto grazie alla partecipazione del primo e al lavoro interpretativo, di supporto, del secondo: la natura del loro incontro è esaltata da diverse forme di recitazione che sembrano accentuare le differenze di due caratteri molto lontani e invece ragionano entrambe sulla timidezza e sulla solitudine di chi ha perso qualcosa e ha paura di ricominciare. La loro complicità guadagna l’investimento emotivo nel film, mentre la pesantezza del ritmo emozionale della drammaturgia, irrigidito negli schemi fissi della commedia a buoni sentimenti, è mitigata in sceneggiatura da una satira leggera ma non poco lucida sulle tipologie di male morale esistenti nel mondo del calcio – dal procuratore ossessionato dalla monetizzazione del corpo di Cristian alla galleria di approfittatori parassitari legati ai soldi e all’apparenza del ragazzo.

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#d38613″ class=”” size=””]La bontà della chimica tra i due attori e lo sguardo sulle tipologie umane dell’universo calcistico conferiscono ragione d’essere a un film, diretto dall’esordiente Leonardo D’Agostini, che non è particolarmente connotato in termini di regia ed esiste più grazie all’organizzazione produttiva.[/perfectpullquote]

La dichiarata ripresa delle strategie emotive della commedia americana anni 80’ fanno del prodotto non tanto un gesto cinematografico sincero quanto un’operazione commerciale, composta con intelligenza dalla gestione di Sydney Sibilia e Matteo Rovere – che ripropongono la dinamica allievo-maestro (con giovane promessa e attore navigato) di Veloce come il vento: la direzionalità commerciale però non guasta perché è mossa da produttori intenzionati a cambiare dall’interno il cinema italiano, diversificando le proposte e i generi. Il prodotto strappa quindi un assenso genuino, accentuato dalle qualità comunque presenti e dal coraggio nel cercare di raccontare il mondo del primo sport italiano attraverso la storia di due persone immobilizzate dalla paura di vincere.

Leonardo Strano
Leonardo Strano
Primo Classificato al Premio "Alberto Farassino, scrivere di Cinema", secondo al premio "Adelio Ferrero Cinema e Critica" Leonardo Strano scrive per indie-eye approfondimenti di Cinema e semiotica. Ha collaborato anche con Ondacinema, Point Blank, Taxidrivers, Filmidee, Il Cittadino di Monza e Brianza

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