sabato, Aprile 20, 2024

Il professore e il pazzo di P. B. Shemran: recensione

Tensioni di riflessione politica più o meno autoconsapevoli attraversano Il professore e il pazzo, sublimandone gli intenti narrativi e trasformandolo in un testo cinematografico non solo imperniato sul racconto di una storia vera commovente ma anche interessato alla costruzione di affascinanti considerazioni sociali. Il merito non è della regia timida e inerte di P.B. Shemran (questo lo pseudonimo probabilmente utilizzato a causa di problemi produttivi da Farhad Safinia, collaboratore di Mel Gibson), bensì della bellezza del giro di vite rivoluzionarie di James Murray e William Chester Minor, primi ideatori e sviluppatori del sistema di catalogazione enciclopedico noto come Oxford English Dictionary. È la natura eccezionale dell’incrocio relazionale del primo, professore autodidatta, con il secondo, chirurgo condannato in un manicomio, nell’Inghilterra di fine 800 ad agitare l’emotività e legittimare il dispiegamento di forze attoriali per questa storia.

Mel Gibson e Sean Penn, capitani di un cast incordato con attenzione filologica per volti e ambienti, interpretano i protagonisti di un dramma storico e giuridico in cui l’idea centrale (sottilmente suggerita dalla scrittura) a veicolo della narrazione è l’elogio di una democrazia invisibile ma fondamentale per sostenere i sogni dei singoli e le aspirazioni di una nazione. Una democrazia evocata per metonimia nel racconto di pochi singoli ma colta nella storica necessità di autodefinirsi al di là del giogo dell’incompetenza, della ritrosia, della misantropia degli aristocratici in capo, attraverso la volontarietà di un gesto piccolo ma sentito, di un contributo a un’operazione monumentale: cristallizzare in un codice consultabile la complessità e la distensione etimologica di ogni vocabolo della lingua inglese. Raccontando questa folle operazione il film si muove in una parentesi politica senza calcare niente, dimostrando a più riprese il fascino coinvolgente e appassionante dell’impresa impossibile, dell’atto sublime perché fuori misura, del giro del mondo attraverso il linguaggio.

L’elogio della lingua come elemento che trascende le classi e annulla la diversità è esaltato non tanto da una catena didattica artificiosamente esplicativa quanto dall’arco drammatico condotto dalle due interpretazioni. Gibson e Penn vivificano il film con due interpretazioni che comprendono l’anti convenzionalità dei loro personaggi, l’irragionevolità del loro atto storico palpitante oltre il riassunto storico, esistente al di là del trafiletto da curiosità aneddotica che chiude la riduzione dell’evento realmente accaduto. Le loro prove attoriali sintetizzano la complessa unione di orgoglio e intelligenza, umiltà e sensibilità che caratterizza gli emarginati e gli anti-accademici ed è grazie a questa sensibilità attoriale (legata alla grandezza ma mai eccessiva) che Il professore e il pazzo riporta l’attenzione a un oggetto dimenticato e a un evento capitale per la modernità.

Leonardo Strano
Leonardo Strano
Primo Classificato al Premio "Alberto Farassino, scrivere di Cinema", secondo al premio "Adelio Ferrero Cinema e Critica" Leonardo Strano scrive per indie-eye approfondimenti di Cinema e semiotica. Ha collaborato anche con Ondacinema, Point Blank, Taxidrivers, Filmidee, Il Cittadino di Monza e Brianza

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