venerdì, Novembre 14, 2025

Of dogs and Men di Dani Rosenberg su Raiplay: la recensione del film sul Pogrom del 7 Ottobre

Of Dogs and Men di Dani Rosenberg, il film sul pogrom del 7 ottobre oggi su Rai 3 alle 21:15 in anteprima assoluta per l'Italia dopo la presentazione nel 2023 al Festival di Venezia. Il film è disponibile anche su Raiplay, la recensione

Ad eccezione di “One Day in October“, la serie antologica in 4 episodi creata da Oded Davidoff e Daniel Finkelman, uscita il 7 ottobre 2024 su Yes Drama e la recente “Red Alert“, in programma da oggi su Paramount+, “Of Dogs and Men” è a tutti gli effetti il primo film di finzione sul pogrom del 7 ottobre 2023, nonostante la sua collocazione come “docudrama”, per l’ibridazione tra materiali di pubblico dominio, testimonianze locali e messa in scena.
Dopo la presentazione alla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, dove fu presentato in anteprima mondiale nel 2023 e ingiustamente boicottato insieme a “Why War” del grande Amos Gitai con una lettera firmata da 300 artisti, il film diretto da Dani Rosenberg approda oggi 7 Ottobre 2025 direttamente su Rai 3 alle 21:20, rinunciando così alla distribuzione cinematografica che ha garantito ad opere come “No other land” e “The Voice of Hind Rajab” una promozione e una circolazione adeguata.
Peccato per Rai Cinema, che co-produce e peccato si debbano leggere alcune polemiche pretestuose sullo slittamento del film di Basel Adra, Yuval Abraham, Hamdan Ballal e Rachel Szor, previsto per stasera sull’emittente statale, in seno ad un contenitore specifico che non verrà di certo cancellato.
Dispiace inoltre esser costretti a specificare per l’ennesima volta che Rosenberg e Gitai, non sono due autori che potremmo definire “allineati” con la narrazione del governo israeliano in carica, così come non lo è la nutrita opposizione civile e politica interna al paese, molto diversa da quella nostrana per toni e soprattutto efficacia.
In questo contesto, che è il ricordo del 7 ottobre, qualsiasi mistificazione post e pre, è per chi scrive inaccettabile, soprattutto se l’intenzione è quella di scambiare le azioni del fondamentalismo nazista di Hamas per forme di “comprensibile reazione resistenziale”, in caso contrario potremmo chiedere cosa ne pensano di questa “resistenza” le persone trans palestinesi fuggite da Gaza per rifugiarsi a Tel Aviv e intervistate da Yolande Zauberman in un film niente affatto apologetico nei confronti del luogo di accoglienza.

“Of dogs and men” è disponibile anche su Raiplay da questa parte

Ambientato nei giorni immediatamente successivi all’attacco del 7 ottobre 2023, Of Dogs and Men si apre in un kibbutz devastato, dove le tracce della violenza sono ancora fresche: muri bruciati, case sventrate, silenzi riempiti dai rumori dei bombardamenti all’orizzonte.
La protagonista, una giovane ragazza di nome Dar, sedicenne interpretata da Ori Avinoam, unica attrice professionista coinvolta e co-autrice della sceneggiatura, ritorna fra le rovine del suo villaggio per cercare Shula, il proprio cane scomparso durante l’assalto, forse scappato per inseguire il pickup che ha portato via la madre. La ricerca, apparentemente minima, diventa un itinerario dentro la memoria e il trauma collettivo di un’intera comunità.

Il kibbutz Nir Oz, al confine con Gaza, subito dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 è il luogo dove il film si ambienta. Pesantemente colpito, con molte case distrutte, un quarto della popolazione uccisa o rapita, molti residenti fuggiti. Il filo narrativo del cane perduto diventa metafora di un legame spezzato fra umani e mondo, fra la cura e la distruzione.

Durante la sua ricerca, Dar attraversa le macerie, vede case bruciate, zone deserte, giocattoli sparsi, edifici danneggiati e incontra persone reali del kibbutz, tra questi Natan Bahat, anziano rimasto, uno dei pochi che non è fuggito, testimone fisico della distruzione, e Nora Lifshitz, giovane donna che gira alla ricerca di animali abbandonati o smarriti dopo l’attacco.

La ragazza a un certo punto immaginerà Shula mentre vaga per le rovine di Gaza, in un sogno realizzato come un frammento animato in rotoscope, una sequenza onirica in cui il cane compare accanto a un ragazzino palestinese, entra in una casa al di là del confine, mentre le bombe e le esplosioni definiscono un orizzonte più visivo che aurale. Viene quindi rappresentata la proiezione di una speranza che sostituisce la realtà brutale.

Attraverso dialoghi improvvisati e testimonianze spontanee, Dar apprende informazioni da soldati, da volontari e da residenti superstiti della tragedia, si informa sugli ostaggi e guarda le immagini che circolano su Telegram, le foto, i video, le persone in cerca di ricordi materiali, i corpi, le loro memorie. Tutto viene filtrato attraverso i dispositivi, gli schermi, la realtà ricombinata dai media e dalle condivisioni sui social network.
Ma su questa apparente ipertrofia che ha occupato cross-medialmente la nostra realtà condivisa, il regista israeliano e insieme a lui Dar, scelgono di chiudere gli occhi, non per negare l’orrore, ma per non farsi travolgere dalla presenza totalizzante della morte.
La ricerca di Dar, in superficie, è un atto d’amore e un tentativo di elaborare un lutto ancora troppo vicino, ma anche un ritorno, in profondità, alla casa distrutta. Ritorno impossibile che echeggia la condizione dell’ebreo diasporico e post-shoah. La casa non è più un luogo, ma un’assenza tangibile.
In questo senso, Of Dogs and Men mette in scena una spiritualità della dispersione, affine al pensiero di Martin Buber e Franz Rosenzweig, per cui la relazione con l’Altro, umano o animale, diventa la sola via per ricostruire senso.

Dar cammina in un deserto morale e materiale, dove il kibbutz, luogo fondativo del sionismo, è ridotto ad una rovina. La sua erranza osserva un buco nero che si apre su quella promessa territoriale, ritornando a quell’identità errante che precede la fondazione stessa dello Stato.

Il cane Shula non è un animale domestico in senso realistico, ma un vero e proprio fantasma destinato a diventare soggetto comune del dolore. È l’unico corpo che può appartenere a entrambi i popoli.
L’altro, che sia uomo o animale, ci guarda e ci obbliga ad assumere una posizione etica.
Dar, attraverso la perdita di Shula, riconosce la propria vulnerabilità come universale.

Rosenberg filma i passi della ragazza come se ogni pezzo del percorso fosse una recitazione silenziosa del Kaddish, trasformando così il paesaggio in un campo mnestico, un luogo dove il ricordo è più reale del presente. In questo senso, se la traccia emotiva del film viene rappresentata dai frammenti del diario della madre, usati come voice over e scritti tra l’87 e il 2007, dove si intrecciano ricordi e una storia soggettiva di Israele tra la prima Intifada e l’ascesa di Hamas, la scelta amplifica questo senso di sospensione tra mondi. Il tempo non è lineare, ma frantumato, ritornante, come se Dar camminasse dentro un midrash visivo senza orizzonte escatologico. La frammentazione non apre quindi alla rivelazione, ma alla perdita definitiva di un centro.

Colei che dimora, questo il significato del nome “Dar”, ha perso ogni riferimento e luogo.
Mentre Shula, che sembra un diminutivo di Shulamit, richiama in qualche modo Sulamita del Cantico dei Cantici, simbolo di amore e lontananza, ma anche di ricerca e desiderio spirituale, qui declinate da un punto di vista radicalmente laico.
Spaesamento identitario, erranza, il paesaggio come forma di memoria, tracciano una piccola geografia apolide del cinema ebraico, se pensiamo rispettivamente a Navad Lapid, Chantal Akerman, Amos Gitai.
Rosenberg non sceglie la via della ribellione linguistica e culturale, ma si colloca entro il silenzio del lutto.

Il film alterna sequenze finzionali a materiali reali, girati sul campo poche settimane dopo i fatti: camera fissa, primi piani incerti, dialoghi improvvisati in cui i personaggi oscillano tra ricordo e finzione. Adotta quindi il registro di un docu-dramma corale, dove i protagonisti sono persone reali che reinterpretano se stesse, e in cui la dimensione narrativa serve a restituire la verità emotiva più che quella cronachistica, con uno stile fortemente contemplativo.

Of Dogs and Men non è allora un film che mette in scena il conflitto né un’opera di denuncia diretta, ma una riflessione poetica e morale sul vuoto lasciato dalla violenza, sulla memoria del corpo, degli oggetti e delle testimonianze, e sulla resistenza silenziosa degli affetti. Il cane rappresenta l’innocenza sopravvissuta, ma anche l’impossibilità di tornare davvero “a casa”. Il confine tra documento e invenzione è deliberatamente confuso, per evocare la perdita di fiducia nella realtà stessa, tipica di chi vive un trauma collettivo.

Dani Rosenberg, già autore del potente The Death of Cinema and My Father Too (2020) e del caustico The Vanishing Soldier (2023) continua in Of Dogs and Men la sua esplorazione della dissoluzione dell’identità israeliana attraverso un linguaggio ibrido che oscilla tra il realismo e l’invenzione finzionale. Ambientato in una Tel Aviv trasfigurata e spettrale, il film si sviluppa come un’esplorazione intima del trauma del 7 ottobre 2023, evitando accuratamente la retorica commemorativa.
Emerge un dispositivo tragico che evoca la dialettica dell’altro come specchio etico

La sequenza conclusiva, dove la ricerca di Shula si conclude con il ritrovamento di un altro randagio, probabilmente giunto fino a quel punto dalle zone calde del confine, mentre i bombardamenti definiscono l’orizzonte, sembra alludere ad un destino comune, una frattura dove il confine tra alterità e identità, collassa definitivamente.

La retorica del “noi contro loro” viene messa in crisi non per negare la violenza subita, ma per mostrarne l’effetto dialettico sull’etica collettiva israeliana. Of Dogs and Men può essere letto come un capitolo del “cinema post-sionista” più maturo, erede della linea avviata da Amos Gitai e proseguita da Nadav Lapid, ma con un grado di dolore e spaesamento radicalmente nuovi dopo il 7 ottobre.

Of dogs and men di Dani Rosenberg (Al klavim veanashim – Israele 2024, 82 min)
Sceneggiatura: Dani Rosenberg, Ori Avinoam, Itay Tamir
Interpreti: Ori Avinoam, Yamit Avital, Nora Lifshitz, Lihu Nitzan
Montaggio: Nili Feller
Musica: Yuval Semo
Distribuzione: RAI
Uscita nelle sale: 5 Settembre 2024

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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