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Joe di David Gordon Green: la recensione

Esce oggi in sala Joe, il penultimo film di David Gordon Green presentato a venezia 2013 e interpretato da Nicolas Cage e dal giovane Tye Sheridan

Joe Ransom, dopo aver passato un buon numero di anni in galera, diventa responsabile di un gruppo di lavoranti neri, pagati per una discutibile operazione di riforestazione; avvelenare i vecchi alberi per piantarne di nuovi, più forti,  secondo le indicazioni di una multinazionale. Alla ciurma di lavoratori si aggiungerà Gary, un quindicenne maltrattato dal padre alcolizzato, che chiede di lavorare per Joe. Per David Gordon Green è l’occasione per descrivere il quadro di un’america rurale dolente a partire dalla scrittura di Larry Brown, romanziere morto nel 2004 e che nel ’92 scrisse appunto Joe, premiato con il Book Award.

Ambientato in Texas, il film si aggiunge ai ritratti della suburbia americana che il regista di Little Rock ha raccontato lungo la sua filmografia.

Joe (Nicolas Cage) e Gary sono i personaggi di una storia che si snoda in un ambito claustrofobico, dall’aria sporca, stagnante, tra i roventi e indefiniti spazi del sud. Figure complementari, unite da un intreccio narrativo dal forte spessore simbolico, in un’alternanza di piani narrativi e spaziali, in cui il giovane Gary sembra affiorare direttamente dalla coscienza di Joe, uomo vissuto e dal misterioso, e di certo traumatico, passato. Individui che emergono da un cumulo di rottami in una realtà in degrado, in cancrena, tra uomini che, come cellule maligne, contagiano il prossimo in una spirale di violenze e soprusi. Mentre l’abuso di alcool fa da propellente ad un mondo abbandonato alla bestialità più bieca, che risponde agli istinti più bassi, tra sesso, morte e sopraffazione; è l’homo homini lupus nella sua forma più corrotta e decadente.
Uomini soggetti ad un contagio a cui è impossibile sottrarsi. Un divorarsi tra simili, come i cani che lottano e si sbranano mentre Joe reclama con urgenza un pompino da una prostituta, un parallelo vorace, feroce, efficace.

Green restituisce quella ruvidità dei caratteri e dei luoghi che così bene conosce, in un contesto che si popola di corpi sudici, lasciati imputridire sotto il sole rovente e la polvere asfissiante che pervade l’atmosfera.
Colori brunastri e rugginosi, tipici dei luoghi sudisti degli Stati Uniti. Un colore che quasi funge da forma simbolica, come cromia di quei brevi frammenti della banale quotidianità, proprio come le fotografie a colori di William Eggleston, alla riscoperta concettuale di territori che grazie al suo occhio acuto, trovano un rilievo epico, sottratti dal degrado ed eternati nello scatto istantaneo, impulsivo e brutale, come un colpo di fucile.

È l’altra faccia del sogno americano, rappresentata in un’intima e struggente storia dall’estetica e dal linguaggio radicati nella letteratura faulkneriana. Joe e il suo cane: l’eroe degli inferi e il suo Cerbero, sono espressione di una società alienante, spossessati della loro identità, ma solo apparentemente senza morale e senz’anima, un uomo dal semplice nome dozzinale “Joe” e un cane dal semplice e impersonale nome “Cane”. Figure umane vuote, di cui ciò che resta è solo il corpo, condannato inevitabilmente a deperire, come gli alberi che Joe stesso uccide con il veleno, lasciati morire impietosamente sulla loro terra solo perché “inutili”, è la speculare condizione dei personaggi che popolano questa terra di detriti e in cui detriti diventano loro stessi.

E questi corpi, questa carne senz’anima, si impone violenta, esibita da Green in tutta la sua contingenza, ammazzata senza pietà, appesa ad un gancio, sbudellata e ridotta a bistecche da divorare avidamente, come la bestia dalla carne nuda penzolante nel soggiorno di una stamberga malandata, residenza di questa umanità ai margini.
Gli ultimi momenti del film si animano di una fatua illusione. Gli alberi nuovi e giovani (Gary) saranno piantati al posto dei vecchi e inutili pini (Joe), ma resteranno inesorabilmente radicati alla stessa terra, semplici sostituti, condannati ad una fine già scritta nelle pagine ingiallite di un’umanità fatiscente.

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Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.
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