sabato, Aprile 20, 2024

La Commare Secca di Bernardo Bertolucci – Venezia 76, Venezia Classici: l’approfondimento

L'opera prima di Bernardo Bertolucci a Venezia 76. L'approfondimento

Dal nero affiora un viadotto, il rombo fuori campo di un’automobile invade la scena: presenze visive e sonore di uno spazio vuoto e in ciò significante, città che emerge dal nulla a rimescolare le carte di un gioco esercitabile sempre e solo entro i confini di quella stessa morte, commare secca, falce levata.
E’ il movimento profilmico di stralci di giornale straripanti dal ponte, e dall’inquadratura, a giustificare quello panoramico della macchina da presa: da destra a sinistra, dall’alto al basso, e poi specularmente, chiusura del cerchio, da sinistra a destra, dal basso in alto, fino a scoprire sulle rive del Tevere il cadavere di una prostituta. Il caos dalla morte, per la morte, nel dinamismo vano del tempo feriale, in quello precipuo della camera.

A ventuno anni Bernardo Bertolucci dirige La commare secca: è l’esordiente più giovane della storia del cinema italiano. Già aiuto regia di Pasolini per Accattone, di Pier Paolo ha ora tra le mani un soggetto la cui realizzazione filmica procede attraverso un linguaggio che del mentore rinnova la memoria solo tematica – la borgata, i ragazzi di vita – ristrutturandone la forma secondo un codice che ha memoria altra, cinefila.

Se Pasolini, impeto sgrammaticato, inventa il cinema, lo investe di sacralità pittorica, Bertolucci non può che leggerlo e dunque farlo, con gli occhi del cultore, moderno autore, la cui istanza si manifesta subito nel prologo rivelando i riferimenti e gli indici della propria visione-scrittura improntata a un lirismo da caméra-stylo: Nouvelle Vague allora, libertà assoluta della cinepresa pur sempre condotta nei termini di un progetto personale di montaggio.
La dinamica di mostrazione del corpo assassinato, dispiegandosi nella progressione di allontanamenti e riavvicinamenti rispetto al dettaglio e al dettaglio dall’insieme, ne restituisce un’immagine per lo più parziale, comunque ambivalente, e anticipa, in certo senso, la costruzione narrativa dell’inchiesta: la voce off di un agente interroga a più riprese una galleria di personaggi suscettibili di aver commesso il fatto, ognuno di essi rimbalza indietro il racconto esponendo la propria versione di verità e menzogne, ampliando e insieme confondendo quanto già detto, visto e sentito.

C’è Canticchia, che dice di esser passato in zona per motivi di lavoro mentre il flashback visualizzato lo contraddice, intento a perpetrare furti ai danni di coppiette appartate; c’è il Califfo, parassita per la compagna, lei pure strozzina, e ugualmente per l’amante, illusa; il soldato Teodoro, che passa le giornate a importunare ragazze per le vie di Roma esausto, si addormenta sulle panchine; Natalino, evasivo e almeno un po’ bizzarro con i suoi zoccoletti di sera al parco paolino; Francolicchio e Pipito che, adolescenti smaniosi, ardenti, si fanno adescare da un omosessuale per derubarlo e “guadagnarsi” così il denaro per un pranzo con le fidanzate; c’è la città, periferia della città, anfratto, recesso. Tutti tanto pasoliniani – c’è pure l’uomo Pasolini, autoritrattosi con ironia intellettuale proprio in quell’omossessuale testimone ultimo e inalienabile – quanto poco pasoliniano è lo sguardo che su di essi esercita Bertolucci, mai direzionato direttamente al cuore sociale e politico delle vicende.

Certo già convinto che privato è politico, indugia invece sulle rotte ondivaghe, i passi incerti, gli spostamenti minimi di questi personaggi della crisi, incapaci non qui di interpretare, ma persino di realizzare le contraddizioni del presente, in balia di un tempo morto che è inesperienza ancor più che insofferenza.

Nella dispersione caleidoscopica delle linee narrative, la detection e la sua risoluzione, che pure arriva, perdono allora rilevanza di fronte all’infanzia di soggetti ontologicamente smarriti entro un conflitto irriducibile: tra sé e fuori da sé, immaginazione e realtà, psiche e Storia, protagonisti vivi del proprio mondo interiore e problematici nella necessità di incontro-scontro con l’altro.

Veronica Canalini
Veronica Canalini
Critica Cinematografica iscritta al SNCCI. Si anche classificata al secondo posto al concorso di critica cinematografica “Genere femminile: quando le donne criticano il cinema” indetto da Artemedia, oltre a scrivere di Cinema per Indie-eye, si è occupata di critica letteraria per il Corriere del Conero.

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