venerdì, Dicembre 6, 2024

Le Mohican di Frédéric Farrucci: Recensione, Venezia 81

Le Mohican è pura ed essenziale elegia anarchica. Racconto di resistenza tanto al potere dell'economia regolata dalla mafia, quanto all'inerzia dello stato di diritto. Il secondo film di Frédéric Farrucci, Visto a Venezia 81 nella sezione Orizzonti

Che sia il neo-noir di ambientazione urbana o il respiro western di una realtà rurale minacciata dal commercio turistico, sembra che il cinema di Frédéric Farrucci cerchi linfa nell’indagine di quel divario tra ostinazione individuale e nuove economie di sfruttamento.

Uno sguardo acuminato che in termini squisitamente politici lo avvicina all’umanità descritta, con metodi e sguardi diversi, nei film del primo Cantet oppure in alcuni di Lioret.
La prossimità al cinema di genere è più marcata nei due lavori diretti da Farrucci e alla claustrofobia della Parigi notturna fotografata da Antoine Parouty in La nuit venue, si sostituiscono gli spazi aperti ed aspri del paesaggio corso, catturati in pieno sole da Jeanne Lapoirie.

Il regista francese evita l’affresco storico e si immerge in un’antropologia contemporanea, irrimediabilmente radicata nell’evoluzione del territorio. Per quanto possa sembrare astratto il contrasto tra la sopravvivenza di tracce arcaiche, l’avanzare della speculazione edilizia sulle zone costiere e l’ostilità viva e dolorosa nei confronti di uno Stato assente, Farrucci è estremamente preciso nel rilevare antiche stratificazioni coltivate nell’organizzazione clanica corsa, incluse le istanze indipendentiste, da riuscire a ribaltare le prospettive analitiche più diffuse, con un film provocatorio e sanguigno che si basa sui meccanismi drammaturgici essenziali del cinema western; vendette, rese dei conti e solitudine del protagonista principale incluse.

Al di là dell’intreccio, ad interessarlo sono azioni, reazioni e soprattutto volti e lingua di una microsocietà legata ai rituali della terra. Il mondo della pastorizia sopravvissuto sulle alture boschive che sovrastano il golfo di Santa Manza, sono un frammento di terra eccedente rispetto alla proliferazione del turismo di massa che si è mangiato tutta l’economia produttiva tradizionale.

Nella resistenza di Joseph, allevatore di capre che non molla rispetto ai ricatti della speculazione mafiosa, sembrano riemergere i sentimenti alla base di quella cultura sociale che rifiutava l’impersonalità statale delle comunità basate sul diritto.

Nella complessa evoluzione del territorio, le immagini di Le Mohican rilevano la fratellanza clanica come ultima possibilità di sopravvivenza, rispetto alla disumanizzazione del mercato contemporaneo, il cui intreccio con la Mafia sembra garantito dal silenzio e dagli interessi dello Stato.

Non è un caso che il film metta a nudo le forme di una resistenza rinnovata rispetto alle spietate regole del profitto. Invece di ripercorrere le tracce del Fronte Di Liberazione Nazionale e il loro isolazionismo criminale, il boicottaggio, l’autoesilio, l’esaltazione di un eroismo oltre e sopra la legge, viene rilanciato dalle nuove generazioni come nuova possibilità di radicamento alle tradizioni.
Le Mohican non si limita allora a sollecitare attenzione sul fenomeno dei gruppi mafiosi che regolano l’economia del luogo, ma ribalta la prospettiva di alcune interpretazioni filogovernative francesi, raccontando la rischiosa commistione tra Stato, nuovo sviluppo edilizio e organizzazioni criminali.

Joseph diventa un fuorilegge eccellente e il segno virale di una nuova cittadinanza regionale, veicolata dalla nipote Vannina attraverso i social, la disseminazione semiotica della sua fuga, tra guerrilla marketing e new media. Si delinea quindi il racconto di una società che rischia di scomparire, osservata attraverso la fratellanza tra vecchi pastori e le tecniche di lavorazione dei prodotti caseari ormai in via di estinzione, ma anche entrando nei pub dove la comunità si riconosce mentre canta canzoni di frontiera, veri e propri momenti antifonali dove le nuove generazioni cementificano una relazione elettiva con quelle precedenti, attraverso la forza del Moicano, l’ultimo dei pastori che rimette al centro le tradizioni della terra e la prassi di un’economia sostenibile.

Sono allora i paesaggi dell’Alta Rocca, dove la maestosità della Corsica del sud sembra inintegrabile rispetto ai resort, le spiagge per ricchi e gli stessi avamposti del potere mafioso, abitazioni di lusso ancora inghiottite dal verde della vegetazione.

Nella corsa senza sosta ai margini della civiltà conosciuta, Alexis Manenti regala un’interpretazione fisica, essenziale, tutt’una con gli elementi e gli spazi naturali. E ancora, sono centrali nel film di Farrucci i volti dei pastori che incontra, clan di una famiglia allargata che sembra provenire dalle origini del secolo scorso, immagine di una conoscenza arcaica profonda e rivelata dalla qualità apolide della lingua. Caratteristiche opposte tanto al potere omologante mafioso, quanto all’inerzia connivente dello stato di diritto.

Farrucci non aggiunge alcuna sovrastruttura ideologica alla radice degli eventi, Le Mohican è allora pura elegia anarchica, per via dell’intensità che riesce a rivelarci, raccontando l’energia insopprimibile di un territorio e degli uomini che l’hanno amato.

Le Mohican di Frédéric Farrucci (Francia 2024, 87 min)
Interpreti: Alexis Manenti, Mara Taquin
Sceneggiatura: Frédéric Farrucci
Fotografia: Jeanne Lapoirie
Montaggio: Mathilde Van de Moortel, Carole Lepage
Musica: Rone

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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