Home alcinema Lettere da Berlino di Vincent Pérez: la recensione

Lettere da Berlino di Vincent Pérez: la recensione

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“Jeder stirbt für sich allein”, fedelmente reso con “Ognuno muore solo” (Sellerio 2010, traduzione di Clara Coïsson) è uno di quei romanzi da portarsi sull’isola deserta. Hans Fallada, maestro del realismo proletario, lo scrisse poco prima di morire. Il libro uscì nel 1947. In anni recenti il mercato anglofono l’ha riscoperto e rilanciato alla grande come “Alone in Berlin”, e questa coproduzione europea va intesa come l’adattamento di un best seller.

Ispirato a una storia vera, “Ognuno muore solo” racconta degli umili coniugi berlinesi Quangel (Gleeson e Thompson), in realtà Otto ed Elise Hampel, che reagiscono alla morte dell’unico figlio sul fronte occidentale confezionando cartoline contro il regime nazista che distribuiscono personalmente in tutta la città, sistemandole sulle scale delle abitazioni. Piccoli appelli per la libertà di stampa e la rivolta contro la «Hitlerei», spesso rivolti alle madri e agli operai. La vicenda è ambientata nel 1940, in pieno acme del potere nazista. Delle 285 cartoline sparse come granelli di sabbia nella macchina sociale del sistema, 267 furono consegnate alle autorità in preda allo sdegno. Cifre che la dicono lunga sul concetto tedesco di «resistenza».

Negli ultimi anni i film sui «buoni tedeschi», nel senso dei tedeschi buoni, sono stati abbastanza numerosi. Spesso biopic su eroi isolati come “John Rabe” (il film di Florian Gallenberger del 2009) o “Elser” di Oliver Hirschbiegel (su Georg Elser, 2015), per tacere di Tom Cruise-Stauffenberg diretto da Bryan Singer nel 2008. In pratica, aggiungendo quelli di von Trotta (“Rosenstrasse”, “La rosa bianca”) e le produzioni più antiquate, avremo suppergiù un film per ogni storia resistente. Uno per ogni singola cartolina non denunciata.

Al pari di “Kleiner Mann, was nun?” (“E adesso, pover’uomo?”, Sellerio 2008, traduzione di Mario Rubino), “Jeder stirbt für sich allein” è fenomenale sia come romanzo, sia come testimonianza storica e sociale. Il film di Pérez non aggiunge nulla, e quando può appiattisce. Parlato in un inglese da sceneggiato televisivo, pidgin di un commercio che poco ha a che fare col cinema, il film è un prodotto da manuale Cencelli fondato su attori solidi e solide maestranze, ma talmente anonimo da confondere l’animo semplice del popolino tanto caro a Fallada con la Gleichschaltung della filosofia nazi. Un esempio per tutti: il trattamento di favore riservato al commissario Escherich, per il semplice fatto che Daniel Brühl non può vestire i panni del cattivo. Più che somministrarvi novantasette minuti inutili, fate una bella cosa: leggete Fallada.

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