mercoledì, Dicembre 11, 2024

Memorie. In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte: la recensione

Viaggio di memorie lungo il viaggio della memoria, direzione Auschwitz, là dove i binari dei treni finiscono in un binario morto. Due fratelli e una storia di affetti spezzati, di assenza, di ricerca, di ritrovamento, forse.

Perché tornare ad Auschwitz dove … l’erba fedele è tornata sugli spiazzi intorno alle baracche … il crematorio è fuori uso, le astuzie naziste fuori moda? A. Resnais, Nuit et brouillard )

Danilo e Roberto, trentenni o poco più, fratelli, infanzia di giochi, candeline sulla torta, vacanze al mare, prima comunione e famigliola felice, sono in viaggio verso Auschwitz. Roberto da bambino leggeva storie diverse dalle solite favole:

Quando ho iniziato a leggere, non so come sia capitato, ma erano cose sul nazismo, sullo sterminio degli Ebrei … Leggevo con un occhio da bambino, ma i bambini sanno essere terribili ”.

Nel suo microcosmo cominciavano a prendere corpo ideali di giustizia, ordine, pulizia.

Ero già un bambino strano di mio … – Roberto si guarda nello specchio degli anni – … a quindici anni mi sono trovato molto diverso da quello che avevo immaginato, molto emotivo, molto sensibile, non disposto a fare qualsiasi cosa per raggiungere i miei fini, assolutamente non disposto … mi sono trovato assolutamente disperato”.

Roberto ha un passato di droga, furti, comunità, carcere e un presente di vuoto, incapacità di vedere il meglio per sé, di fare qualcosa per gli altri, anche per chi lo ama. Il viaggio verso Auschwitz è il regalo del fratello per il suo trentesimo compleanno.

Danilo Monte è regista, direttore della fotografia, montatore. Curriculum breve ma interessante, ha costruito sé stesso mentre il fratello distruggeva sé e chi lo circondava. Questo viaggio nasce dalla semplicità di un gesto fraterno, un tendere la mano nella speranza che venga afferrata, e solo un fratello poteva ricucire una storia strappata riannodandola ad un’infanzia vissuta insieme, trovando proprio in quel passato la parola giusta da dire. Storia memoriale, dunque, dove i ricordi sono racchiusi in brevi filmini amatoriali che, in formato ridotto, s’incuneano a tratti, in ordine cronologico inverso, dal presente al ’90, fra le riprese che vanno avanti e, da una stazione all’altra, arriveranno ad Auschwitz. Il viaggio è lungo, difficile. Danilo filma il fratello che fuma, beve birra, guarda dal finestrino, fissa lui o il vuoto davanti a sé e parla, parla. E’ un monologo aspro, a momenti la voce di Danilo interviene brevemente, le frasi di Roberto sono spezzate, aggressive, in attacco o in difesa sembrano torcersi in una contrazione dolorosa.

E’ la disperazione di aver fatto del male soprattutto a sè stesso, perché la sofferenza degli altri, sì, quella di amici che ha visto morire, della donna che gli era vicino, quella l’ha fatto piangere quando è uscito dalla droga, ma il dolore dei genitori no, non può riguardarlo “… un metro prima dell’eroina ci sono loro, lo schifo che sono è roba loro, qui c’è la mia famiglia, il dolore non me lo sono inventato io, dopo c’è l’eroina, il rubare per l’eroina, l’eroina è un antidolorifico, è una scelta mia, ma il mio dolore, estremo, non è una mia scelta”.

C’è conflittualità, e molta, tra i due fratelli, il nichilismo di Roberto, la tossicodipendenza, la ricaduta dopo l’effimera disintossicazione, il presente, ancora così disperato, e lo sguardo di Danilo, che forse giudica senza rendersene conto, e Roberto ne sente il peso.

E’ per questo che uno non ti può sputare in faccia e mollarti per tutta la vita, da una parte prendi a mazzate, dall’altra sei un buono … e invece tu sei una persona solo capace di giudicare gli altri, sei implacabile, terribile, tu negli occhi hai la cattiveria quando parli ”.

E’ una descensio ad inferos quella che si consuma lungo il viaggio. Due fratelli e tutto l’abisso di silenzio e di incomprensione che la vita riesce a creare, senza accorgersi né volerlo, ma arriva il momento della resa dei conti e si dicono le cose che bisognava dire, anche se costa molto.

Ricominciare a parlare è lo scopo di Danilo, è difficile ma si può, se parlare porta alla  scoperta di territori che pensavamo nascosti agli altri, chiusi alla loro vera o presunta indifferenza. E allora scegliere di andare ad Auschwitz con Roberto è importante.

“Mi hai portato in un posto che per me significa moltoAndare ad Auschwitz per me è importante … a trent’anni bisogna iniziare a professare la propria religione … io torno là da dove ero partito da bambino.

“L’avevo intuito – dice Danilo – un regalo non nasce a caso”. “L’avevi intuito?”.

C’è sorpresa nella voce di Roberto, il contatto è stabilito. Scherza – “Il regalo camuffato! ”-ma il varco nel muro ora è tracciato, Auschwitz farà il resto.

Senza porsi problemi di regia, inquadratura, scenografia, script  e altri artifici linguistici, Danilo Monte realizza qualcosa che penetra fino al fondo di quel grumo di sofferenza. Tecnicamente è poco più che un video amatoriale. Le sequenze, accostate in paratassi, sono separate dal “nero”, il sonoro è in presa diretta e diventerà musica diegetica, minimale, solo negli ultimi minuti, fra le baracche di Auschwitz, eppure Memorie. In viaggio verso Auschwitz sviluppa una sorta di magnetismo. Quelle micro-sequenze hanno la naturale immediatezza di tratti di esistenza in cui la ricerca di sé si traveste in qualcosa d’altro, si confonde nel caos abituale delle storie di tutti i giorni, ma dentro hanno un cuore pulsante che preme e si fa strada, e, a fatica, riesce ad esplodere.

Roberto ritrova la sua umanità nel luogo in cui l’uomo ha realizzato il massimo della sua disumanità.

“ Ti senti in imbarazzo, camminare in quel posto e ogni tanto ti vengono in mente i tuoi problemi, ti senti come se qualcuno ti stesse guardando, e all’improvviso scopri che stavi pensando a te stesso. Ti vergogni di essere lì a pensare a te stesso … Riuscire a dirsi “ci penso dopo”. E’ stato bello, è il regalo più bello che mi è stato fatto”.

Dai binari che Danilo e Roberto hanno visto correre sotto i loro treni, mentre fra loro tornavano le parole, fino al binario morto che entra nel grande cancello del lager, dove tutte le parole finirono.

… Nove milioni di morti frequentano questo paesaggio. Fingiamo di credere che tutto ciò è di un solo tempo e di un solo Paese e non pensiamo a guardarci intorno, e non sentiamo che si grida senza fine. (A.Resnais, cit.)

E’ così che Roberto troverà ancora la forza di dirsi: “ci penso dopo”.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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