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The Wandering Moon di Sang-il Lee: recensione

Nel coraggioso e poetico The Wandering Moon, Sang-il Lee riprende l'interrogativo principale dal romanzo di Yu Nagira a cui si è ispirato: In una società ostile basata sul sospetto e la punizione cautelare, se un pedofilo non si macchia di alcun crimine, non esercita coercizione né abuso, è perseguibile moralmente e penalmente?

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Nelle due ore e mezzo di The Wandering Moon ci sono tutti i registri del cinema di Sang-il Lee.
L’esasperazione melò più vicina alle origini coreane del regista e la misura giapponese che improvvisamente sottrae senso dall’accumulo di segni, con l’improvvisa contrazione nel gesto o nel dettaglio.

Costante della sua filmografia è l’infrangersi di un’interiorità indicibile ed oscura con le possibilità, anche distruttive, dello sguardo multisoggettivo. Questo non sempre rivela, ma è più spesso origine di fraintendimento, separazione e sofferenza.

Il film accoglie la provocazione del romanzo di Yu Nagira da cui è tratto e cerca di tradurre in termini squisitamente scopici il dilemma delle preferenze sessuali, preventivamente legate all’abuso dal sistema penale. Su quel sistema, l’occhio pervasivo dei media si modella e costruisce una società ostile, basata sul sospetto e la punizione cautelare.

Se un pedofilo non si macchia di alcun crimine, non esercita coercizione né abuso, è perseguibile moralmente e penalmente?

Il presupposto viene affrontato invertendo un luogo, anche rappresentativo, comune; quello della famiglia come cornice sicura, contrapposta ai pericoli di un mondo isolato e tagliato fuori dal contratto sociale.

Secondo i codici del dramma nero Sang-il Lee costruisce l’incontro tra Sarasa, una bambina di dieci anni, e Fumi, un uomo adulto, ai bordi di un parco durante una giornata di pioggia. L’uomo offre riparo con il suo ombrello alla bambina adombrata dal pianto e la invita a ripararsi a casa sua. Lei, in fuga da altre sofferenze, accetta senza indugi.

Applicando il montaggio parallelo in modo da separare il tempo della storia da quello del racconto, il climax dell’evento traumatico viene costantemente spostato per sollecitare e disattendere le nostre stesse stereotipie. Si procede avanti e indietro, sdipanando a poco a poco la relazione tra Fumi e Sarasa collocata nel passato e allo stesso tempo un nuovo incontro nel loro presente, dove ormai sono entrambi adulti.

Lo scopo non è solo quello di creare tensione, ma di generare nuovo senso a partire da due interazioni che differiscono per ragioni temporali, percettive e interiori.

All’esperienza dei due protagonisti si aggiungono quelle del fidanzato di Sarasa, dei colleghi e dei datori di lavoro di questa, della compagna di Fumi e di una collettività che diventa visibile in tutte le forme che determinano la formazione del senso comune.

Nell’accondiscendere ai desideri minimi della bambina, Fumi stabilisce con lei una comunicazione basata sul linguaggio poetico. Non solo la lettura di alcuni estratti da una raccolta di poemi di Edgar Allan Poe che servono a codificare la comprensione di un’altra realtà, ma soprattutto il tramite con gli oggetti, per costruire un’espansione mondana della meraviglia, attraverso la prassi del gioco. Palline, figurine, carte, il gelato, una tenda in miniatura, la danza della luce causata da uno specchio riflettente, sostituiscono il contatto tra i corpi. Nella libertà di essere ciò che vuole, Sarasa potrebbe entrare e uscire quando vuole.

Potrebbe, se il giudizio esterno non fosse fondato sullo stigma della potenzialità criminogena assegnata ad un comportamento considerato fuori norma.

Senza teorizzare, Sang-il Lee penetra le sofferenze dei suoi personaggi e le fa esplodere con la minore o maggiore propensione all’abuso del sistema sociale. Ribaltando prospettiva, individua la violenza incuneata nella famiglia tradizionale e nel sistema giudiziario, mentre l’alienazione dai comportamenti considerati accettabili, sembra l’unico possibile rifugio sotto la luna.

Lo stupro diventa allora una consuetudine del desiderio, una declinazione del diritto maschile al piacere, il volto di un Giappone indicibile che ha fondato sul proibizionismo il contenimento della violenza, mentre questa può esplodere incontrollata tra le mura domestiche.

Mentre Fumi è destinato a subire nel tempo ripetuti allontanamenti dal sistema senza aver commesso alcun crimine, la membrana che separa le sfaccettature della vita dallo sguardo collettivo, si autoalimenta proteggendo la rabbia, la vendetta e il pregiudizio come se fossero gli unici diritti esperibili.

The Wandering Moon, quando pende dalla parte del melò, esaspera il confronto in uno spazio drammaturgico contratto, dove tutti gli elementi confluiscono per addizione a determinare l’estremizzazione di uno stato emotivo.

Al contrario toglie materia d’improvviso, con crude esplosioni di violenza oppure generando quel vuoto necessario per descrivere la possibilità di un gesto.

Quando Fumi pulisce la bocca della piccola Sarasa sporca di pomodoro, in questa soggettiva che proietta sul volto e la bocca di lei il riflesso di un desiderio indicibile, Sang-il Lee sembra rifare la sequenza dell’ostrica in Tampopo di Juzo Itami, con prospettiva e intensità opposte, trattenendo tutto l’erotismo nel potenziale significante del gesto.

Lo spazio del desiderio occupato dai due, cambia segno nell’incontro speculare da adulti. Su queste due temporalità il regista coreano naturalizzato giapponese, imposta l’inversione e allo stesso tempo la complementarità di un blocco. Se l’impossibilità di crescere alimenta in Fumi l’irriducibile amore per i bambini, vanificando il corso del tempo, l’unico modo per sopportarne l’immutabilità è nella sospensione del gesto entro l’area della contemplazione. Per Sarasa, le ripetute violenze subite fin dall’infanzia, ridefiniscono i confini del suo corpo attraverso il rifiuto del contatto fisico.

La sostanza tragica di The Wandering Moon è situata nell’impossibilità di vivere fuori dalle cronologie imposte il proprio spazio di rappresentazione del desiderio. Il ricorso alla visione cosmologica di Poe attraverso i versi di Solo, scritti dal grande autore americano il 17 marzo del 1829, rimette in circolo la relazione tra tempo e identità. La dittatura del corpo allora spinge verso il basso, mentre la coscienza può finalmente comprendere il modello oscillatorio dei fenomeni:

agli albori d’un’esistenza in tempesta,
dal fondo d’ogni bene e d’ogni male
fu attinto il mistero che ancora mi lega

The Wandering Moon di Sang-il Lee (Giappone 2022)
interpreti: Suzu Hirose, Tôri Matsuzaka, Mikako Tabe, Ryûsei Yokohama, Akira Emoto, Takahiro Miura, Shuri
Sceneggiatura: Sang-il Lee, Yu Nagira (Romanzo)
Fotografia: Hong Kyung-pyo
Montaggio: Tsuyoshi Imai


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Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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