Home alcinema Walesa – l’uomo della speranza di Andrzej Wajda: la recensione

Walesa – l’uomo della speranza di Andrzej Wajda: la recensione

Dal 1970 al 1989 di strada ne ha fatta, Lech Walesa. Da semplice operaio in un cantiere navale di Danzica a leader di Solidarnosc, lo storico sindacato autonomo dei lavoratori che aprì uno spiraglio di libertà nella cortina di ferro del sistema sovietico.

Il film di Andrzej Wajda, Walesa- l’uomo della speranza, racconta a metà tra biografia e inchiesta l’ascesa di una delle figure più carismatiche della politica europea, un operaio capace di guidare una rivoluzione pacifica e di conquistare nel 1989 il potere attraverso le prime elezioni libere nella storia della Polonia. Un film che arriva sugli schermi italiani dopo essere stato presentato allo scorso Festival di Venezia e dopo aver conteso a Sorrentino l’Oscar come miglior film straniero.

Un’intervista della giornalista Oriana Fallaci (interpretata da Maria Rosaria Omaggio) a Walesa è il pretesto per ripercorrere la vita del dissidente. Può esistere una rivoluzione senza sangue? Il metodo di Walesa dimostra di sì. Wajda costruisce la storia su un impianto narrativo solido che cerca di mantenersi equidistante dagli eventi raccontati. L’obiettivo del regista polacco non è quello di dipingere un affresco appassionato e di parte sul leader di Solidarnosc, ma di raccontare una storia vera, che nell’alternanza tra materiale d’archivio e materiale filmico, tra bianco e nero e colore (in alcuni casi le immagini filmiche vengono virate al bianco e nero, con il risultato di legare ancora di più Walesa alla storia polacca), consolida il proprio rapporto con fatti realmente accaduti.

Il film mostra tutte le tappe più significative del percorso politico di Walesa: la coscienza sociale si insinua in lui dopo un fatto sanguinario, una strage di operai da parte della polizia di regime nello stesso giorno in cui nasce il suo primo figlio. Proprio la dialettica tra sfera pubblica e dimensione privata sarà uno dei motivi ricorrenti di tutto il film: la famiglia di Walesa diventa sempre più numerosa, proprio come il numero di operai e studenti che crede nelle sue parole e nel suo carisma. Ma se il rapporto con la moglie si incrina (anche se lei gli rimarrà sempre a fianco), l’ascesa politica è inarrestabile, a dispetto degli ostacoli che il regime metterà sul suo cammino. Nel 1983 arriva il Premio Nobel per la pace, sei anni dopo la storica vittoria alle elezioni politiche.

Non vi è dubbio che l’impianto di Wajda tende ad essere un po’ didattico. Ma è proprio nel rigore formale e narrativo che il regista riesce a dare continuità alla sua idea di cinema. Dopotutto, più di ogni altro interprete, Wajda è la storia del cinema polacco. Ne ha attraversato almeno cinque o sei fasi, iniziando la sua avventura nel lontano 1955 e proseguendola nel corso degli anni con invidiabile coerenza. C’è un obiettivo chiaro nel suo cinema, quello di rappresentare i cambiamenti storici e sociali della sua Polonia, analizzando le ripercussioni sulla vita degli individui. Un cinema d’impegno, nazionale ma non nazionalista, che trova ancora la forza di indicare esempi positivi e di alimentare, con essi, la speranza del rinnovamento, senza però nascondere la problematicità del reale.

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