venerdì, Marzo 29, 2024

Il più grande sogno di Michele Vannucci: la recensione del DVD CG Entertainment

Michele Vannucci, giovane regista romano nell’orbita del Centro Sperimentale di Cinematografia, esordisce nel 2016 con un film che ha poco di scontato se non il titolo: Il più grande sogno.
La periferia di Roma, i martiri della sottocultura: le premesse sono quelle di tanti lungometraggi che in questo stesso humus hanno scelto negli ultimi anni di affondare le radici.
Difficile è andare oltre l’epigono se si sceglie di frequentare spazi sovraffollati; Vannucci ci riesce, pur con eccesso di manierismo imputabile a una ricerca di stile, confezionando un’opera ibrida, nelle forme così come nel linguaggio.

Mirko Frezza interpreta se stesso, gran parte del cast è costituito da attori non professionisti, non mancano comunque nomi di spicco: Alessandro Borghi nei panni di Boccione, amico sincero, a tal punto disabituato a coltivare sentimenti da restarne sbalordito scoprendoli, goffo ma puro nell’esprimerli, e Vittorio Viviani in quelli di un padre che è il relitto d’un uomo, costola di un sistema che fagocita vite e denaro.

Alla soglia dei quarant’anni Mirko esce di prigione; fantasma di chi era, convinto di essere morto a 33 anni e inaspettatamente ritrovatosi a risorgere qui su questa terra, non sa che farsene del presente, tantomeno di un futuro troppo vasto per lui, rassegnato a pensare tuttalpiù al domani, giorno successivo.

In mezzo alle macerie sofferte e seminate, a far da contrappeso a un padre amato ma pericolosamente contagioso, c’è l’ancora di una famiglia costruita molto per amore, molto per caso: una moglie che conserva negli occhi la stessa tenerezza di una ragazzina, una figlia abbastanza piccola da essere disposta ad accoglierlo, una abbastanza grande da portare sul cuore il peso della memoria, un altro in arrivo.

Mirko vorrebbe davvero che bastassero loro a fare il futuro, ma ha gli strumenti di chi, fuori, non conosce altro che la miseria e la violenza dei ragazzi di vita del nuovo millennio. Poi arriva Paola (Ivana Lotito), corpo estraneo a La Rustica; forse più fortunata, forse più coraggiosa degli altri, tradisce le sue origini nella cadenza delle parole ma usa il linguaggio del cambiamento. Affiancato da lei, Mirko si ritrova a capo del comitato di quartiere: trasformare il degrado in bellezza è una lotta continua con chi non riesce a vederla, con il passato, e con una macchina da presa che viceversa un po’ troppo se ne compiace senza perdere però di vista la parzialità della propria prospettiva. Vari gli ostacoli che ostruiscono l’obiettivo, diversi i campi lunghi che costringono alla disillusione.

In concorso nella sezione Orizzonti a Venezia e candidato ai David, il film si avvalora di stringati ma interessanti contenuti extra per l’edizione in dvd (CG Entertainment); l’Anatomia di una scena, in particolare, vuole mettere in luce attraverso le parole dello stesso regista la vera anima del film e lo spirito che ne ha guidato la realizzazione. Il focus è sul quartiere in festa animato dai Last Before Dinner, band romana contaminata dal country d’oltreoceano: strane bestie lì, eppure capaci di trasformare l’inglese in musica in codice universale. “The devil always finds a way” cantano; intorno, intanto, di questo male si celebra l’esorcismo perfetto. Se un ballo non basta, si sale su una giostra per conquistare la leggerezza, insieme a una nuova immagine di sé. Vannucci si muove tra loro senza essere uno di loro, tampina i volti, testimonia la vita che scorre per creare un prodotto non inscrivibile in nessuna categoria precostituita. In parte documentario, in parte docufiction, come ben si evince da una delle due scene non incluse nel montaggio finale, anch’esse comprese tra gli extra, dove alla recitazione a braccio degli attori fa da controcanto la reazione spontanea dei non professionisti, Il più grande sogno ha prima di tutto l’ambizione dichiarata di rappresentare un nuovo modo di fare cinema: divertirsi tra la gente, che vuol dire tutto e niente. A questa vaghezza d’intenti, che certo è contestuale, non sintomatica, corrisponde nella prassi un’opera finita esteticamente connotata, laboratorio dello stile e del sentire di un regista che ha lanciato sugli schermi il proprio segnale di posizione.

Veronica Canalini
Veronica Canalini
Critica Cinematografica iscritta al SNCCI. Si anche classificata al secondo posto al concorso di critica cinematografica “Genere femminile: quando le donne criticano il cinema” indetto da Artemedia, oltre a scrivere di Cinema per Indie-eye, si è occupata di critica letteraria per il Corriere del Conero.

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