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Berlinale 70 – Il Bidone di Federico Fellini – Berlinale Classics: la recensione

Il bidone di Federico Fellini

Il Bidone di Federico Fellini, Versione restaurata in anteprima mondiale alla 70/ma Berlinale

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Il Bidone, di Federico Fellini. La recensione del film

Augusto ha quarantotto anni ma sembra un sessantenne, si sente e si vede invecchiare, si spoglia del suo abito squallido per indossare le vesti di un monsignore, lì ancora per strada circondato dalla polvere. La truffa prevede l’esumazione di ossa e un bottino falso per ingannare quei poveri agricoltori che scambiano il tesoro sepolto con i pochi soldi che hanno risparmiato per celebrare quel numero giusto di messe che serve a riabilitare il falso assassino.

Il Bidone di Federico Fellini è la storia di tre imbroglioni malandati che impegnano ogni loro energia truffando gli indigenti per poter vivere senza fatica. Infatti Augusto non è solo, Picasso e Roberto sono gli zelanti servitori, le loro facce sono l’impietoso specchio in cui Broderick Crawford, il capo banda, ogni volta vede il suo riflesso e il suo fallimento, nervoso e sfinito da una profonda stanchezza che segna ogni piega del suo viso. Picasso, interpretato da Richard Basehart, che già era stato sul set de La Strada, incarna la gioventù stessa, ancorato al suo desiderio di diventare un pittore cerca con le truffe di guadagnare i soldi che servono a impressionare la moglie e a tenerlo saldamente legato a quell’amore di cui ha un disperato bisogno, mentre Roberto, Franco Fabrizi, che nel passato aveva vestito i panni di Fausto ne I Vitelloni, è un uomo senza scrupoli e irrimediabilmente cinico, a cui non interessa niente a parte i fronzoli e l’apparenza.

Tre antieroi che scommettono tutto sulla superstizione, sul bigottismo e sull’avidità di chi cerca uno spiraglio per rendere la propria vita migliore. La folla accorre, supplica Augusto di ascoltarla, quando scambia i suoi vestiti con una tunica nera e il crocifisso al collo o il suo completo da ricco uomo di stato deve solo andare in giro con il suo abito su misura per illuminare le speranze di un popolo morente e soffocato. Crea l’illusione, parole generose, falsi documenti ufficiali, quanto basta per ravvivare la speranza di una schiera implorante.

Abbietti e spudorati diventeranno a loro volta sudditi e cortigiani di un nuovo re, Rinaldo, un repellente Alberto de Amicis, ex socio d’Augusto, ormai diventato un ricco signore che vigile si concede allo sguardo invidioso della lussuriosa fauna che ha invitato a casa sua per festeggiare il Capodanno. In questa magnifica sequenza la realtà si mostra diversa disvelando ogni ambiguità. Augusto, Picasso e Roberto diventano parte di quella rigogliosa e strisciante pletora di persone che desidera arricchirsi rapidamente per mostrare in modo ostentato il proprio successo. Un’orgia che diventa un inferno di uomini indifferenti, egoisti e vili, espressione di una società in cui conta solo l’individualismo e l’assoluta incapacità di interessarsi al destino degli altri.

Qui il passaggio dalla commedia alla tragedia, qui la poesia, quando Fellini si libera gradualmente dalla trama per comporre sequenze più autonome che servano a comprendere più a fondo la disperazione, la solitudine e il senso di impotenza dell’uomo.

A questo punto entrano in scena i personaggi femminili. Alix, la moglie di Picasso, una straordinaria e angelica Giulietta Masina che crede di poter salvare il marito solo con l’amore, la figlia di Augusto, una giovane studentessa pronta a sacrificarsi e lavorare duro per inseguire i propri studi e l’ultima delle truffate, una ragazza paraplegica che confida al monsignore sotto mentite spoglie la sua soddisfazione anche se incatenata alle stampelle dalla giovane età e confinata in una quotidianità fatta di miseria. Ecco nei loro i visi il costante e non voluto rimprovero a questi uomini miserabili, la loro purezza, la loro innocenza e la loro gioia diventano macigni di fronte allo sguardo incerto di Augusto che fino ad ora ha ignorato il valore di tutto. Non c’è nessuna redenzione, nessun lento risveglio di coscienza, l’uomo sente crescere dentro di sé lo squallore e il senso di desolazione, intrappolato in una gabbia che non gli lascia alcuna via d’uscita. Infatti non può esserci che una conclusione, una fine che non preveda inganni. Augusto fa sì l’ultimo colpo, ma vorrebbe non averlo compiuto.

La Berlinale omaggia Il Bidone quest’anno nella sezione Classics, dando nuova luce a un capolavoro oscuro che si colloca proprio in quell’intermezzo in cui l’autore era desideroso di cercare altrove la sua strada, abbandonando quello spirito neorealista che fino ad allora l’aveva ispirato.

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