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Blindfold di Taras Dron: recensione

Le arti marziali miste servono a Taras Dron per raccontare l'assimilazione dei codici della guerra attraverso il corpo e l'urgenza della lotta. Yulia rivendica la necessità di una strenua resistenza ai codici dell'attesa. Uno sguardo granitico che sgretola quello maschile, ma allo stesso tempo rivendica la sovrimpressione tra la sua identità e quella dell'Ucraina, senza alcuna mediazione né resa.

Abbandonati i toni della commedia che avevano caratterizzato il suo film di debutto, Taras Dron realizza il suo secondo lavoro nel 2020 e cambia completamente registro. Al centro di Blindfold c’è Yulia, un’atleta di arti marziali miste che riversa sul ring il trauma della guerra nell’Ucraina orientale, ormai conclusasi.

Denys, il fidanzato, non ha più fatto ritorno dal conflitto e il suo fantasma minaccia l’equilibrio emotivo della donna, incapace di adattarsi al senso di vuoto che la circonda.
Il corpo a corpo della lotta diventa un dispositivo per indagare la pervasività della guerra nella vita quotidiana di un popolo e allo stesso tempo, la capacità di resistere alle convenzioni devozionali dell’attesa assegnate alle madri, le figlie, le mogli.

Yulia è a tutti gli effetti una combattente e Dron costruisce intorno all’interpretazione di Maryna Koshkina un film muscolare, prepotentemente fisico, nel tentativo chiarissimo di raccontare la resistenza morale di un intero paese, attraverso l’affermazione incondizionata di una figura femminile.

Se la guerra condiziona la vita di ciascuno, come uno spettro che abbraccia la città anche in tempo di pace apparente, la negazione dell’evidenza sembra connaturata con l’esercizio del potere maschile a vari livelli. Yulia allora ingaggia una battaglia interiore e sociale per poter vivere il dolore a modo suo. Taras Dron non cede alla tentazione di un cinema didascalico, elaborando un film diretto, fortemente soggettivo e ancorato alle inquietudini della protagonista, il cui corpo, l’andatura sicura e goffa allo stesso tempo, la necessità dello scontro fisico, diventano elementi rivelatori che sostituiscono l’inefficacia della parola.

Qualsiasi spiegazione logica sulla scomparsa di Denys, anche quando il rischio è quello di cadere nella trappola del phishing, non soddisfano la donna, in questo senso Yulia è un personaggio permanentemente fuori posto, catturata da un vero e proprio disorientamento sensoriale e percettivo, che Dron evidenzia con alcune brutali sequenze di lotta dove lo sguardo, la centralità dello scontro, il possesso dello spazio delimitato dall’arena, sono costantemente a rischio.

La simmetria che Dron costruisce con la figura della madre di Denys, gli serve per delineare una linea chiarissima tra due personaggi che non accettano l’appiattimento della vita nella resa del lutto. Per entrambe non è possibile rifugiarsi nella celebrazione della memoria, anche quando il diario di guerra del giovane soldato, emerge come un frammento sospeso nel tempo. Il passaggio di mano di quegli scritti che Dron si guarda dal rivelare, sfuma attraverso l’allontanamento di Yulia e il desiderio, fermissimo, di non leggerli.

L’unica verità che riesce a permetterle di focalizzare il suo ruolo, sono i pugni, il dolore sordo dei corpi che si scontrano, la filosofia della lotta come appiglio disperato alla vita, non importa se lo scontro si verifichi, con modalità differenti, durante una cena borghese, per proteggersi da due stalker o nello spazio illegale e senza pietà del wrestling clandestino. Tutti gli strati comunitari che Dron descrive, difficilmente percepibili senza un esame attento delle differenze sociali e linguistiche, penetrano l’anima della città di Lviv, per restituire il percorso di un’anima assediata.

In questo senso Blindfold non è un film ambiguo, tira dritto verso la necessità di resistere a qualsiasi costo, senza alcuna scorciatoia metaforica rispetto alla natura tentacolare di una città dilaniata da istanze contraddittorie.

L’unica biforcazione possibile è nella doppia valenza, tra l’altro evidente, che Yulia rappresenta. Da una parte la volontà di decodificare una realtà granitica attraverso la prospettiva femminile, dall’altra l’assimilazione dei codici della guerra attraverso il corpo e l’urgenza della lotta, un’incorporazione che si manifesta nella sovrimpressione tra la donna sul ring e i colori della bandiera Ucraina che occupano interamente la sua vestaglia. Quello sguardo, puntato in macchina come un’arma, più che il segno di un’iconografia patriottica, è affermazione di un’identità, senza alcuna mediazione.

Blindfold di Taras Dron (Iz zavyazanymy ochyma, Ucraina 2020 – 100 min)
Interpreti: Maryna Koshkina, Oleg Shulga, Larisa Rusnak,
Sceneggiatura: Taras Dron, Yakub Prysak
Fotografia: Aleksander Pozdnyakov
Montaggio: Yuriy Pidtserkovny

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi
blindfold-di-taras-dron-recensioneLe arti marziali miste servono a Taras Dron per raccontare l'assimilazione dei codici della guerra attraverso il corpo e l'urgenza della lotta. Yulia rivendica la necessità di una strenua resistenza ai codici dell'attesa. Uno sguardo granitico che sgretola quello maschile, ma allo stesso tempo rivendica la sovrimpressione tra la sua identità e quella dell'Ucraina, senza alcuna mediazione né resa.
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