Home festivalcinema Guest of honour di Atom Egoyan – Venezia 76, Concorso: recensione

Guest of honour di Atom Egoyan – Venezia 76, Concorso: recensione

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=””] sinossi: L’ispettore sanitario Jim riceve la notizia che sua figlia Veronica, una giovane insegnante di scuola, è stata arrestata con l’accusa di molestie sessuali su uno studente minorenne. Nonostante le accuse siano false, Veronica continua a respingere i tentativi del padre di organizzare il suo rilascio, rivelandogli di credere di meritare comunque una punizione per qualcosa di commesso molto tempo prima, un segreto legato al loro passato familiare: tutto ciò avrà profonde ripercussioni sul loro rapporto e sul lavoro di Jim. [/perfectpullquote]

Il costrutto narrativo su cui è costruito Guest of Honour si rivela quasi subito come un grande pretesto metaforico. Atom Egoyan usa infatti un dramma famigliare, incentrato su una perdita ma anche su una fitta rete di tradimenti, non detti e segreti contenuti nei piccoli schermi, per sforzare i cardini di una relazione famigliare, innescare simbolismi a catena e concretare nuovamente la sua riflessione sul ruolo dell’immagine nelle vite umane. Tuttavia la narrativa, pur essendo organizzata per condurre a un cul de sac tematico determinante, teoricamente funzionale a un sunto preciso e aderente alla proprietà intellettuale dell’autore, presto si rivela un corpo inerte e spento, composto da sabbie mobili in grado di affossare anche il genuino slancio teorico e allo stesso tempo di sbriciolare il carattere della sola narrazione. La storia dei sensi di colpi intrecciati a distanza tra Veronica e suo padre Jim, ispettore sanitario, gestisce male tutto un catalogo di emozioni e di situazioni virtualmente calzanti per il discorso del regista. L’impossibilità comunicativa tra un padre e una figlia, espressa con grande intuizione formale dalla costruzione diacronica del racconto, è dimenticata a favore di un sovraccarico di sconvolgimenti, affastellati solo per aggiornare l’imprevedibilità del racconto; il rapporto tra singole verità personali raccontate dal lavoro attoriale e quindi lo spettro di sfumature di significato è ridimensionato dalla qualità interpretativa diseguale (puntualmente ambigua quella di David Thewlis per Jim e invece troppo calcata quella di Tennille Read per Veronica); le ambiguità del punto di vista obiettivo dell’immagine digitale, così invasiva e pervasiva, sono sfruttate solo per amplificare la già esponenziale indeterminatezza della puntualità narrativa. Guest of Honour si auto divora quindi in una morsa che rivela allo stesso tempo la potenzialità inespressa e il fallimento dell’espressione del racconto e si chiude in un risultato pigro.

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