venerdì, Aprile 19, 2024

Return to Montauk di Volker Schlöndorff – Berlinale 67, Concorso: la recensione

Uno scrittore di successo (Skarsgård) torna dopo molti anni a New York per promuovere l’ultimo romanzo, ‘The Hunter and the Hunted’. L’occasione è ghiotta per riallacciare i contatti con una vecchia fiamma, Rebecca (Hoss). I due trascorrono un fine settimana in località Montauk, Long Island, dissotterrando segreti e bugie.

Sinossi elementare per questo ritorno a Frisch da parte di Schlöndorff, che insieme a Colm Tóibín ha scritto una sceneggiatura che omaggia e rielabora la novella ‘Montauk’ (1975) dell’autore svizzero. Per un regista dalla carriera cinquantennale, in massima parte fondata su adattamenti letterari, un progetto di questo genere rappresenta una variante seducente e dal sicuro appeal. Visto che Montauk è un chiaro esempio di autobiografismo letterario, viene da chiedersi, quanto di autobiografico c’è in Ritorno a Montauk?

La domanda è oziosa, e chi conosce Schlöndorff sa che dal suo cinema tutto ci si può aspettare salvo grandi sorprese o rivelazioni graffianti. Di buono, Rückkehr nach Montauk (o meglio Return to Montauk, visto che il film è girato in inglese) ha la consueta solidità dei film del regista di Wiesbaden, un buon impianto narrativo e un’ottima direzione degli attori. Tutti impeccabili a cominciare da Nina Hoss, forse l’unica vera diva del cinema tedesco contemporaneo.

Ciò detto, il tema dell’autobiografia è tutt’altro che irrilevante. Schlöndorff ne ha pubblicata una dieci anni fa, ‘Licht Schatten und Bewegung’, che si può leggere come una sinusoide con alti e bassi, tra gli inizi del Nuovo Cinema Tedesco, i picchi dei tardi anni Settanta e il tentativo sfortunato di rilanciare Babelsberg subito dopo la riunificazione. Doppiamente sfortunato: gli studi non decollarono (lo avrebbero fatto pochi anni più tardi) e Schlöndorff decise di dare il proprio contributo girandovi… L’orco (1996). Ora, il regista oscarizzato e palmadorato partecipa alle maratone e scoppia di salute. Meglio questi cenni biografici che l’ennesima storia wasp di amori, tradimenti, soldi e intellettualismi sulla East Coast.

Come molti film schlöndorffiani, Return to Montauk guarda al mercato internazionale e opta per una medietà che lascia poco margine a entusiasmi cinefili. I momenti più riusciti sono forse i titoli di testa (tra l’hitchcockiano e il Polanski più recente), il monologo iniziale di Skarsgård e una sua intervista radiofonica in cui difende l’Europa e alla domanda Qual è la sua posizione risponde Non sono mica un albero. Sono un animale. Ecco, stilisticamente parlando Volker Schlöndorff ha ormai radici profonde, ma questa zampata frischiana non sfigura al cospetto di Homo Faber (1990).

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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