Home festivalcinema Tom à la ferme di Xavier Dolan a Venezia 70: gay meló

Tom à la ferme di Xavier Dolan a Venezia 70: gay meló

Adattato dalla pièce teatrale del drammaturgo Michel Marc Bouchard, il quarto lungometraggio di Xavier Dolan si ambienta in una zona rurale del Quebec; Tom, interpretato dallo stesso Dolan, raggiunge l’azienda di famiglia del compagno per assistere al suo funerale; morto in un incidente dalla dinamica non del tutto chiara, il ragazzo non ha mai rivelato alla madre le sue inclinazioni; quando Tom arriverà sul posto dovrà affrontare un ambiente ignoto, e sopratutto Francis, il fratello del defunto, rozzo, prepotente e iper-violento minaccerà Tom in cambio del suo silenzio; la madre non deve sapere che tipo di vita faceva il figlio e Tom sarà costretto a tacere, anche con la violenza.

Se si leggono le note stampa del film, credendoci per davvero, Tom à la ferme, nelle intenzioni di Dolan, sembrerebbe segnare una svolta rigorosa e scarna nell’opera del giovane regista Canadese, modificata solamente in corso d’opera, dall’inserimento del commento sonoro curato da un grande musicista come Gabriel Yared, perchè in una prima fase il film avrebbe dovuto essere rigorosamente legato ai suoni della natura, della mungitura, della vita rurale e senza alcun commento musicale.

In realtà Tom à la ferme è tutt’altro che un film sobrio, tutta l’anima eccessiva e pop di Dolan è ben presente, a partire dal modo iper-realista in cui affronta il formato visivo e i colori di un digitale dai valori cromatici sparatissimi, per arrivare alla tipizzazione eccessiva dei personaggi, di derivazione assolutamente teatrale, in sintonia con un’esasperazione estrema dei toni da melodramma, spinti verso una vera e propria versione parodica di un intreccio Sirkiano.

Stabilite le relazioni che legano i personaggi, Dolan allestisce un teatrino della crudeltà, rimanendo a metà tra un didascalismo imbarazzante e un’impietosa disamina antropologica di alcuni rituali legati alla cultura Gay.

Francis sembra non poter tollerare l’identità sessuale del defunto fratello, il suo ruolo è quello di cului che è chiamato a schiacciare qualsiasi differenza come se fosse il sintomo di una malattia da estirpare; si scaglierà contro Tom, colpevole di essere la testimonianza viva di un’esperienza affettiva inacettabile; proteggere l’incolumità psichica della madre si rivelerà una scusa, perchè Francis, che prende lezioni di tango, che cerca di inserire Tom nella famiglia insegnandogli a mungere vacche e a partorir vitelli, che a suo tempo aveva picchiato brutalmente un povero malcapitato trovato a ballare in un pub con il fratello, aprendogli la bocca fino alle orecchie come fosse un ano da sfondare e infine, che si sorprende in preda alla disperazione quando Tom riuscirà a fuggire; Francis, appunto non è evidentemente mai sceso a patti con le proprie preferenze sessuali.

In modo complementare, Tom, non fugge subito dalla casa, ma sentendosi per la prima volta integrato in una famiglia seppur disfunzionale, si sentirà irrimediabilmente attratto dalla violenza estrema di Francis; quando questi inseguirà Tom durante il suo primo tentativo di fuga, lo raggiungerà in un campo di grano, e dopo averlo picchiato brutalmente e immobilizzato gli intimerà, come in “miracle de la rose” di Jean Genet, di spalancare le mascelle affinchè con “le mani d’acciaio” possa fargli ingoiare i suoi scaracchi.

Gabriel Yared in questo e in altri contesti, utilizza la musica in modo addizionale, componendo motivi spiraliformi, ispirati alla musica di Bernard Herrmann, per sottolineare una tensione che è già data, quindi con un effetto di amplificazione dell’elemento melodrammatico; non c’è alcuna tensione nel film di Dolan, ma semplicemente il delinearsi di un’arena del desiderio esplicitamente chiara sin dall’inizio.

Se questo sadomasochismo un po’d’accatto, questa analisi del desiderio osservato come un ingranaggio dal funzionamento indissolubile rispetto all’annientamento, ci è sembrata la solita, frusta, legittimazione genderizzata e machista dell’universo Gay, i cui ruoli del gatto e del topo sembrano una ripetizione già vista di un balletto dai ‘generi’ intercambiabili; rimangono comunque delle aperture che invalidano questa elegia dello stupro, ed è la fuga di Tom, non tanto da un punto di vista narrativo ma per il modo in cui , visivamente mette in funzione la memoria. Non appena arriverà alla prima stazione di servizio, di spalle vedremo il figlio del benzinaio con una cicatrice che arriva alle sue orecchie; istintivamente Tom visualizza un’immagine di Francis colto di spalle in una postura indifesa; è un’immagine di tenerezza, che scardina la collocazione di Tom come vittima eterna; un piccolo frammento, ellittico ed emozionale, che rilancia quello che abbiamo visto fino ad ora, ovvero la rappresentazione di un mondo dalle caratteristiche negativamente teatrali.

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