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Återträffen di Anna Odell

Anna Odell, nell’interpretazione di se stessa, partecipa ad una riunione di ex compagni di classe che dopo 20 anni si rivedono per una cena. L’atmosfera festosa viene presto interrotta quando la donna comincia a far venire a galla, uno dopo l’altro, tutti i conflitti di un periodo terribile come quello dell’adolescenza, quando Anna veniva evitata, derisa e osteggiata dai compagni di classe. Un gioco al massacro quello del primo lungometraggio della Odell in concorso alla 28ma Settimana internazionale della critica, che crea a poco a poco un doppio livello di finzione, non troppo diverso, si presume, dall’ambito  in cui l’artista Svedese si è mossa fino ad ora e dalle attitudini che ha dimostrato in un noto scandalo “performativo” avvenuto in svezia nel 2009.
Anna Odell, classe 1973, studia arte presso due noti Istituti Svedesi, l’University College of Arts, Craft and Design e il Royal Institute of Art.
Personaggio molto conosciuto nell’ambito dell’arte performativa Svedese, Anna Odell fece parlare di se per un’installazione cross mediale che indagava i processi della psicosi in relazione al potere e al funzionamento del vigente sistema sanitario; l’esperimento, realizzato durante il periodo della sua laurea, generò reazioni molto forti tra cui quella di David Eberhard, responsabile del settore psichiatria al St. Goran di Stoccolma: “Sarebbe l’ora che la Odell se ne tornasse a scuola, che il suo responsabile le tagliasse i capelli, e che infine si cercasse un vero lavoro”.
Ma cosa aveva creato tutto questo scandalo?
Parte del progetto della Odell consisteva nel suicidarsi gettandosi da un ponte; quando l’ospedale psichiatrico e la polizia del luogo, allertati, cercarono di fermare la donna, la trovarono in stato alterato mentre rivendicava la veridicità della sua performance a suon di calci e pugni, un campionario di ostilità assortita che continuerà in ospedale dove sputerà alle infermiere e a tutto lo staff di psichiatria. Verrà quindi sedata, trascorrerà la notte in psichiatria e gli verrà diagnosticata una pericolosa instabilità. La Odell, di li a poco, confesserà il funzionamento del suo personale gioco; si trattava di una vera e propria messa in scena, un atto performativo finzionale, rivelazione che contribuì ad aggravare la sua posizione, considerato l’atteggiamento inqualificabile e “privo di vergogna” avuto con i dottori, il reparto e tutti i pazienti e soprattutto valutando l’impiego di risorse ed energie destinate ad un uso pubblico. Mentre la Odell continuava con ostinazione a rivendicare l’integrità artistica della sua performance, il dottor Eberhard dichiarò: “questa è arte? che si sfoghi dipingendo!”

 

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