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Autopsy di André Øvredal: la recensione

Il misterioso cadavere di Jane Doe arriva in obitorio. Nessun segno di trauma esterno, solo alcune ferite interne e la rimozione di un molare. Eventi bizzarri e straordinari cominciano ad avvicendarsi intorno all'obitorio, durante e dopo l'autopsia

Autopsy è il film del regista norvegese André Øvredal dove il cadavere di una giovane donna non identificata viene trovato sulla scena di un sanguinoso omicidio. L’autopsia sul corpo non rivelerà segni esterni di trauma, ma alcuni tagli e rimozioni molto strane. A questo si aggiungono venti misteriosi, con la stazione radio che cambia stazione da sola e ombre che sembrano camminare nell’obitorio.

Autopsy, il brutto film di André Øvredal

Primo film in lingua inglese per André Øvredal e terzo in assoluto per il regista norvegese dopo Trollhunter e Future Murder. Autopsy è ambientato interamente all’interno di un obitorio e si sforza, con risultati disastrosi, di mostrarci la nostra relazione con la morte attraverso uno sguardo autoptico, grazie anche al lavoro fotografico di Roman Osin, che recupera per l’occasione i cromatismi scuri e claustrofobici sperimentati con Asif Kapadia.

Il risultato è volutamente molto più gelido, per quanto ci si sforzi di giocare sulla rappresentazione di un mondo Lovecraftiano, che con la vecchia imprecisione di Clive Barker ci avrebbe guadagnato per lo meno in intensità.

Ma quello che ci sembra imperdonabile, è l’incapacità di andare a fondo, trasformando velocemente un film sul corpo in una fantasia esoterica sulla superficie dello stesso.

Per quanto Øvredal si sforzi di imporre un regime ed un registro realistico, raffreddando le battute ad un livello empirico-scientifico, l’immagine rimane agganciata negativamente alla dimensione cinica della parola, segni derivati inclusi.

Quando in obitorio arriva il cadavere della bella Jane Doe, nome temporaneo qualsiasi per un corpo qualsiasi rinvenuto nel seminterrato di una casa dove sembra essersi consumato un massacro, padre e figlio che mandano avanti l’attività famigliare si confrontano su tecniche e approccio, rivendicando una distanza razionale che precede l’interpretazione della coscienza.

Come nei peggiori horror luterani e con un corpo fortemente sessualizzato messo al centro, la vendetta dei morti non si farà attendere, e i segni rinvenuti all’interno del cadavere di Jane apriranno delle porte che non si richiuderanno, al contrario del suo cadavere sezionato.

Cosa manca al film di Øvredal? La capacità di Nacho Cerdà di andare sino in fondo nel descrivere la relazione insostenibile tra vita e morte, attraverso l’oscenità della prassi autoptica, rituale ossessivo e primordiale. Cerdà, come Pascal Laugier con Martyrs, si interrogava sulla presenza del dispositivo e sulla nostra tolleranza rispetto alla pornografia necrofila che ci assale. La mutazione era quella tra immagine e grado di persistenza, corpo sezionato e occhio indifferente. Nel film di Øvredal tutto questo e assente e anche quando alle mutilazioni di Jane corrispondono quelle del tecnico di laboratorio, tutto rimane fermo ad un livello simbolico e superficiale.  

A dispetto della frase entusiastica di Stephen King diffusa a mezzo stampa, Autopsy non è un film viscerale, gli manca totalmente la dimensione ritualistica, quella che non ha a che vedere con la riflessione sullo spirito, ma con un approccio radicalmente antropologico.

Senza il coraggio di guardare in faccia la morte, il regista norvegese frappone tra l’occhio e il corpo i soliti paraphernalia esoterici, simboli di un mondo desunto dalle fiabe, forse il genere con cui Øvredal dovrebbe continuare ad esercitarsi. 

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Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi
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