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Desde allá di Lorenzo Vigas – Venezia 72, Concorso

Il contesto sociale e politico è completamente diverso, ma il debutto nel lungometraggio di Lorenzo Vigas dialoga a distanza con il secondo film di Robin Campillo, visto due anni fa proprio qui a Venezia. Come in Eastern Boys, Desde Allà mette in relazione due diversi strati sociali della città attraverso l’osservazione del desiderio.
Armando (Alfredo Castro) avvicina giovani ragazzi della suburbia, li invita nel suo appartamento e li paga per guardarli; talvolta si masturba, altre volte no, in tutti i casi non stabilisce alcun contatto.
Dove il film di Campillo era completamente giocato sul contatto fisico, sulla violenza e sulla relazione in continua mutazione tra città e i margini della stessa, quello di Vigas lavora in modo diverso, ma altrettanto complesso sull’impercettibile cambiamento delle regole sociali, collocando al centro la crescente relazione di intimità tra l’uomo e il giovane Elder (Luis Silva).

Il rapporto di forza, anche traumatico, tra ambienti, condizioni e cultura, Vigas lo scopre progressivamente, lavorando di sottrazione sopratutto sui dialoghi e servendosi della fotografia di Sergio Armstrong (sodale di Pablo Larrain) per confondere il degrado della strada con gli interni lividi della classe media, chiusa come Armando in una dimensione separata ma coesistente con i bordi più difficili della città.

Quello che accomuna Elder al silenzioso tecnico dentista è l’assenza di una figura paterna e la ricerca di uno spazio di tenerezza che il primo sostituisce con la violenza e Armando con un distacco freddissimo da qualsiasi espressione del sentimento. Vigas li sorprende entrambi in questo limen affettivo utilizzando l’ambiente come rivelatore di uno stato d’animo in continua trasformazione. La balera dove Armando accenna un ballo con la madre di Elder, il suo stesso appartamento e l’unica apertura dello spazio in riva al mare, non sono semplicemente sfondi, ma strumenti attraverso i quali la mise en scene di Vigas rinuncia alla parola per lasciare liberi i gesti, i movimenti e il teatro delle convenzioni sociali, riuscendo a suggerirci un dialogo culturale complesso che include, oltre alle diverse condizioni, anche la percezione della sessualità da parte di tutta la società venezuelana.

Con una conclusione tombale come in alcuni film di Pablo Larrain, Lorenzo Vigas esplora un territorio oscuro che da privato diventa collettivo, individuando negli occhi di Armando la paura e l’indifferenza che Caracas gli restituisce.

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