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Sexy Money di Karin Junger – Festival Internazionale di Cinema e Donne 2014: la recensione

È la musica di Nneka a fare da contrappunto alle immagini di “Sexy Money“, il film diretto da Karin Junger, documentarista Belga attiva da diversi anni in Olanda.

La musicista di Warri, nata da padre nigeriano e madre tedesca, non presta semplicemente i suoi brani, ma viene coinvolta nell’indagine della Junger in alcuni momenti performativi che emergono dal contesto, calati in mezzo alle donne intervistate nella città di Lagos, oppure sullo sfondo delle sequenze più libere e poetiche, ma evidenziando sempre la sorgente sonora con la qualità di una registrazione diretta.

Quello di Nneka è un neo-soul contaminato dai ritmi nigeriani, dall’uso dell’ostinato, dalle forme ritmiche giamaicane ma è anche un gospel laico che racconta la sofferenza delle donne del suo paese d’origine con grande forza invettiva; “i refuse to be the cross for another man” è una delle liriche che come un metatesto attraversano le immagini girate dalla Junger nelle zone suburbane; le storie sono quelle di un gruppo di donne tornate dall’Europa dopo durissime esperienze di prostituzione e sfruttamento per tentare nuovamente la ricerca di un ruolo nella loro terra.

Con l’ambiguità necessaria di un occhio ravvicinato, la Junger passa dal formato intervista all’immersione dello sguardo soggettivo nella dimensione molteplice della collettività, documentando i momenti più critici e raccogliendo episodi difficili tra vittime e carnefici, approccio alla sostanza degli eventi che lascia libero il flusso e cerca di organizzarlo nuovamente entrando e uscendo dalla rappresentazione, con il numero musicale a fare da collante tra i due spazi, performativo e testimoniale.

Se il rapporto di queste donne con la loro terra è di forte appartenenza, lo scontro con la realtà socio-economica diventa flagrante in un complesso avvitamento tra necessità e mezzi che più di una volta si trasforma in beffardo inganno; l’occhio della Junger disvela progressivamente questa ambiguità come nel caso di “Madam”, responsabile di  “lady-mechanic”, centro di formazione nato per preparare donne uscite da storie di sfruttamento a gestire un’auto-officina; come una vera e propria “mistress” mette in guardia le ragazze dal contatto con gli uomini, indica loro una via per l’autoaffermazione promettendo un piccolo stipendio durante il periodo di apprendimento; la Junger evidenzia proprio le caratteristiche para-religiose del centro, non solo mostrandoci l’approccio collettivo ma raccogliendo la testimonianza di “Madam” mentre spiega il suo ruolo come una missione divina: “Ho fatto un sogno, c’era Gesù che mi insegnava a riparare una macchina…

U’empatia quasi cultuale destinata ad essere re-inquadrata con nuove testimonianze che ne racconteranno gli aspetti più oscuri, fino ad arrivare ad una truffa di proporzioni statali che attraverso le promesse non mantenute di Rochas Okorocha, governatore dello stato nigeriano di IMO, mostrerà gli effetti di un potere maschile che inganna le proprie sorelle.

Tra i racconti degli abusi sessuali subiti in territorio europeo per mano dei clienti bianchi e la difficoltà di trovare uno spazio identitario nel loro paese, le donne filmate da Karin Junger si sovrappongono alla nostra soggettiva, raccontando anche lo sguardo di un’Europa silente attraverso la forma di una dolorosa elegia, quella che spezza la cornice pop dei brani di Nneka per aprirli ad un vero e proprio call-and-response coinvolgente e affettivo.

 

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