Home festivalcinema Berlinale-66 Inhebek Hedi di Mohamed Ben Attia – Berlinale 66: concorso

Inhebek Hedi di Mohamed Ben Attia – Berlinale 66: concorso

Co-prodotto dai fratelli Dardenne il debutto nel lungometraggio di Mohamed Ben Attia sceglie la strada della semplicità per raccontare desideri e aspirazioni dei giovani Tunisini, attraverso la breve educazione affettiva di Hedi, rappresentante per la Peugeut il cui futuro viene attentamente pianificato dalla famiglia con i preparativi per un matrimonio combinato. Attia privilegia quindi un punto di vista maschile che non riesce più ad assumersi la responsabilità di un ruolo dominante, raccontando per riflesso il destino delle donne e la posizione delle famiglie nel dialogo con una tradizione che sembra aver reso infelici tutti quanti.
Hedi comincia a vedersi diversamente durante una trasferta lavorativa a Mahdia dove in un hotel in riva al mare incontra Rim, una donna più grande che si guadagna da vivere ballando per i turisti. É proprio lo spazio performativo delineato da Rim che viene semplicemente evidenziato come luogo di libertà. Lontano dal controllo famigliare e dai doveri aziendali Hedi darà inizio ad una storia d’amore che gli consentirà di recuperare la sostanza dei propri desideri, tra cui il talento per il disegno e per i fumetti.

Il film di Attia, sviluppandosi tra la casa originaria di Hedi e la libertà del mare, cerca di cogliere l’intensità di alcuni istanti senza raccontarci il passato di Rim, ma suggerendo la sua incessante fuga da una vita stanziale come unica via d’uscita, mentre in una dimensione diversa la promessa sposa di Hedi non riesce ad esprimere nient’altro che una cieca aderenza ai precetti della tradizione, costantemente inquadrata da qualcos’altro o da qualcun altro.
Se il volto della sposa rifulge di una luce incontaminata, segno di una protezione che non le consente di uscire dal recinto famigliare, quello di Rim reca altri segni, quelli del tempo, della libertà nella danza a dispetto del corpo e anche della sofferenza.
Ma é la trasformazione di Hedi che interessa ad Attia, come se l’innesco di un improvviso distacco dalla famiglia gli consentisse di percepire la vertigine della libertà, interstizio che determina la percezione di uno spazio necessario tra presenza e assenza, condivisione e improvvisa separazione.
Attia sospende il film sull’indicibilità del futuro dal momento in cui i desideri non corrisponderanno piú alla veritá dell’istante.

Se l’influenza del cinema dei Dardenne si percepisce lievemente, piú per quella vicinanza al personaggio principale che non diventa mai pedinamento occlusivo, il debutto di Attia soffre di un’eccessiva onestá che ne rappresenta il limite, come esempio di cinema ancora acerbo, ma anche la possibilitá, come lavoro dello sguardo che non ha bisogno di nient’altro che un volto.

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