giovedì, Aprile 18, 2024

Kissing Candice di Aoife McArdle – Berlinale 68, Generation: la recensione

Kissing Candice il debutto dell'irlandese Aoife McArdle

Aoife McArdle e Steve Annis provengono entrambi dal mondo del videoclip. La prima debutta nel lungometraggio proprio con Kissing Candice, il secondo, oltre che per questo film, ha lavorato a lungo come direttore della fotografia sempre nell’ambito videomusicale collaborando anche con Aoife, in particolare per “Every Breaking Wave“, long form che parte da un brano degli U2, espandendolo con una storia d’amore ambientata nell’Irlanda del Nord durante i “Troubles” degli anni ’80.
La vocazione della regista irlandese per il paesaggio, descritto attraverso quella fenditura tra Storia e monologo interiore, è chiara in questo e in altri progetti, come per esempio la clip girata per Jon Hopkins nel 2014 (Open Eye Signal).
Kissing Candice è in questo senso un film ambizioso, perché cerca di combinare questi due aspetti in una forma narrativa ibrida che risente dell’approccio sensoriale e sinestetico dei videoclip, della propensione alla fotografia di strada in termini di scelte e ambientazioni e di un’immersione nel mondo dell’immaginazione, come se contaminasse il contesto urbano più crudo.

La fotografia di Annis, spesso a suo agio con atmosfere crepuscolari e notturne (il progetto “lungo” per Florence + The Machine, noto come The Odyssey e diretto da Vincent Haycock per esempio) trova nelle preferenze di Aoife McArdle una sintonia prodigiosa, tanto da rivelarsi come elemento integrato con la scrittura visionaria della seconda.

L’energia sprigionata da un bacio tra la diciassettenne Candice (una vibrante Ann Skelly) e Jacob (Ryan Lincoln) l’unico membro di una gang di spostati capace di esprimere umanità, si rivela come l’attrattore strano di una realtà caotica. Tutte le biforcazioni del racconto in qualche modo procedono verso quel gesto o se ne allontanano come se fosse una scintilla capace di creare il corso degli eventi.

La decostruzione quindi consente alla regista irlandese di lasciare tracce, indicazioni, rovesciando la gerarchia temporale tra fatti, anticipazioni e desideri.
Non ci sono segni mnestici definiti in Kissing Candice, tutto potrebbe promanare dalla memoria o dalla fantasia della protagonista, ma allo stesso tempo contenerla entro un ordine più ampio della percezione, costituito da tutte le figure che attraversano il film, in uno scambio che disassembla la retorica dei film corali.

Per quanto si possa avere la sensazione che l’approccio sperimentale sconfini talvolta nell’esercizio di stile, la McArdle in realtà non abbandona mai i suoi personaggi, dipingendo una serie di ritratti suburbani e dolenti che raccontano in modo incompromissorio il sonnambulismo di una comunità sospesa tra memoria e deriva.

L’incedere disperato e solitario del padre di Candice (John Lynch), poliziotto ossessionato da un crimine potenziale legato alla scomparsa di un adolescente, esprime il rimpianto per un Irlanda che nel sangue degli scontri gli sembrava comunque più sicura e viva rispetto a quella gioventù che ha sostituito la rivolta con l’autodistruzione. La mancanza di un riferimento ideale gli mostra una realtà inafferrabile; incapace di comprenderla la respinge come un nemico invisibile, incluso il timore che la figlia si perda in un mondo oscuro che non conosce la luce dell’alba.
Le continue incursioni subcoscienti, sottolineate dalla synth-wave e dal sound design di Joe Clarke, rappresentano un tentativo da parte di Candice di sopravvivere a quella brutalità che la stessa McArdle osserva con grande empatia, riuscendo spesso a cogliere il sottile confine tra violenza e disperazione nel contrasto tra un certo espressionismo cromatico e i colori lividi di quell’Irlanda sul confine tra nord e sud.
Un po’ come se quel mistero che emerge dal cinema realistico e allo stesso tempo sottrattivo di Rebecca Daly si combinasse con una forma neo-gotica che attinge in parte alla tradizione più “urbana” del cinema tra fiaba e proletariato di Neil Jordan e dell’ultimo Philip Ridley, quello di Heartless.
La notte filmata dalla McArdle e fotografata da Steve Annis proviene da un mondo in decomposizione, quei colori marcescenti alimentano gli incubi di Candice, tanto che il sogno esplode senza soluzione di continuità tra i confini dello spazio quotidiano, rovesciando spesso la prospettiva o inquadrando un mondo letteralmente sottosopra.
A un certo punto la McArdle sembra rileggere lo (splendido) video di Collider girato da Tom Haines e fotogafato dallo stesso Steve Annis , azzerando tutti i giochi ritmici e post-industriali per aderire alla flagranza dei gesti, invece di indugiare su un’immagine “dopata”.
Quelle incertezze del racconto individuate da alcuni detrattori di Kissing Candice, rappresentano in realtà un tentativo coraggioso di ricostruire le fasi di un’esperienza di formazione nello scontro tra mondo empirico e realtà interiore, scegliendo la strada di un oscuro poema visivo che non accetta quasi mai di piegarsi al ricatto del racconto lineare per raccontare quello scambio, anche morfologico, tra città e adolescenza, consegnandoci un ritratto iperrealista dell’Irlanda contemporanea. Acerbo e allo stesso tempo ambizioso, proprio per questo, vivissimo e potente.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi

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