Home festivalcinema Locarno 67 – A Blast di Syllas Tzoumerkas

Locarno 67 – A Blast di Syllas Tzoumerkas

Pare che Syllas Tzoumerkas, al suo secondo film con “A Blast”, neghi l’esistenza di una vera e propria new wave greca, eppure il suo nuovo film oltre ad avere in comune Aggeliki Papoulia con “Kinodontas” il film più noto di Lanthimos (e sicuramente non il migliore), ripropone in modo molto esplicito alcuni “topoi” del cinema greco contemporaneo, avvicinandosi alla superficie di film come Miss Violence, in quella centralità della famiglia rappresentata a partire dalle caratteristiche più oscure ed ambigue. Tzoumerkas spazza via ogni tentazione metaforica, preferendo una fisicità esibita alla persistenza dei simboli; eppure il vizio di fondo è lo stesso dell’ultimo Lanthimos, quello di una funzionalità meccanica che rinchiude il film in uno spazio diegetico senza uscita. Nel contesto di una crisi economico-famigliare si fa strada il personaggio di Maria, la figlia più ostinata, che si inventa un piano di ripresa facendo affari con un gruppo di speculatori senza scrupoli. L’innesco del disastro sarà mostrato da Tzoumerkas facendo ricorso ad una narrazione decostruita, dove cause, effetti e ragioni si confonderanno con la vita personale del personaggio. Una continua messa in abisso della narrazione che evidenzia gli aspetti più ferini, legati alla sessualità, alle esigenze primarie, alla rabbia di Maria che mantiene una tensione costante per tutto il film, come a rappresentare un’esplosione vicina all’impatto. Al di là della notevole interpretazione della Papoulia, corpo e volto che non si risparmia mai, “A Blast” sembra imprigionato, come accade sovente in alcune produzioni greche, in uno spazio semantico che ancora una volta non riesce a superare la dimensione simbolica. Pur dimostrando una maggiore vicinanza ai corpi, nella forza disgiuntiva di un montaggio esibito, quello che “A blast” perde per strada è proprio la fisicità. Invece di liberare la forza performativa della sua attrice, Syllas Tzoumerkas la incatena dentro uno spazio linguistico ottuso; un’imperdonabile opacità.

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