Home festivalcinema Omar di Hany Abu-Assad – Middle East Now 2014

Omar di Hany Abu-Assad – Middle East Now 2014

“Omar” è l’ultimo film girato dal regista di Nazaret Hany Abu-Assad; presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 66 e candidato agli ultimi Oscar come miglior film straniero, percorre nuovamente, dopo “Paradise Now”, i territori occupati della Palestina, ma da una prospettiva diversa rispetto al film girato nel 2005. Se lo sguardo e i corpi pieni di esplosivo dei protagonisti di “Paradise Now” erano già dentro la morte, Omar cerca di lottare con una disperata vitalità per affermare il diritto ai propri desideri, in un incessante tentativo di superare ostacoli, confini, barriere; le prime immagini del film ce lo mostrano a distanza, mentre si arrampica sul muro che divide la Cisgiordania; è l’unico modo che ha per far visita agli amici e a Nadia, la ragazza di cui è innamorato, sorella di Tarek, quest’ultimo guida di un piccolo gruppo di resistenza di cui oltre a Omar fa parte anche Amjad. Quando il piccolo nucleo ucciderà un militare Israeliano in una notte balorda e maldestra, quel senso di oppressione e minaccia che si respira nel film sin dall’inizio, esploderà in un crescendo di paranoia dove il progressivo venir meno della fiducia contaminerà tutti.
Omar sarà preso di mira dalle milizie Israeliane, e costretto da Rumi, il poliziotto a cui è stata affidata l’indagine, a fare da esca per catturare Tarek così da consentire l’esercizio di una punizione esemplare.
Hany Abu-Assad pedina Omar nel suo continuo entrare ed uscire dai confini della zona proibita, un equilibrio precario che lo mantiene in vita solo per amore di Nadia, unica possibilità di salvezza rispetto ad una realtà corrotta e mistificata dalla pressione militare Israeliana, dove non è possibile fidarsi di nessuno; in “Omar” c’è allora un continuo slittamento di senso che dalla prassi strategica dell’Intelligence si riverbera sullo spirito e le azioni dei protagonisti, costretti a rivedere ogni volta la loro posizione e spinti a tradire per necessità.
Realizzato come un thriller che gira costantemente a vuoto, e volutamente debitore (come ha avuto modo di dichiarare Hany Abu-Assad) delle tradizioni noir Americane, Francesi ed Egiziane, “Omar” sposta costantemente il centro dalla sfera politica a quella intima, così da diventare un racconto sulla fiducia tout court, che investe tutto l’ambito relazionale.
Il complesso rapporto di fratellanza tra i ragazzi, la società patriarcale Palestinese, il deambulare inquieto e sempre “sul filo” dello stesso Omar,  l’amore  per Nadia e quel senso di precarietà che accompagna la coppia per tutto il film, filmata in una serie di incontri clandestini al sicuro dagli sguardi di tutti, oppure mentre si bacia in un appartamento spoglio, sono alcuni degli elementi che consentono ad Hany Abu-Assad di realizzare un film ondivago e ambiguo, condotto sul filo di quell’incertezza per il futuro che stringe i cuori dei nativi e che irrimediabilmente spinge alla menzogna e all’egoismo proprio nel contesto in cui si dovrebbe trovare solidarietà e protezione.

L’unico modo per uscire da questo circolo vizioso è farsi nuovamente carico, come i rivoluzionari di “Paradise Now”, della propria identità con un rifiuto netto dello statu quo.
“Omar” si chiude con un fotogramma nero, taglio secco che suona come un grido disperato.

 

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