venerdì, Ottobre 4, 2024

Remember di Atom Egoyan – Venezia 72, Concorso

Il cinema di Atom Egoyan, un po’ come le commedie di Samuel Beckett, si serve di una polifonia narrativa che lega e allo stesso tempo slega gesti e immagini in un continuo riposizionamento del punto di vista. Non è tanto l’architettura di un disegno cognitivo che si completa progressivamente come un rebus da risolvere, ma la possibilità che la compenetrazione tra diversi elementi sostituisca proprio a quest’idea di completezza, quella di possibilità.
Gesti e oggetti ripetuti, nel cinema del cineasta armeno-canadese, irrompono nella linearità del racconto, vengono riallocati in posizioni diverse e spesso contrastanti, moltiplicando le biforcazioni e spesso raggiungendo una sospensione, uno svuotamento dell’immagine che prolunga l’attesa, individuandola in quel crocevia tra passato, presente e futuro.
Non vogliamo in questa sede approfondire una questione su cui torniamo spesso e che non smette di dividere critici che forse hanno sopravvalutato alcuni tra i primi film di Egoyan per le ragioni sbagliate, sottovalutando gli ultimi, per quelle stesse ragioni.
L’Egoyan più lineare e addomesticato, in realtà non esiste, e il diverso modo di concepire la relazione tra piano e sequenza, anche nell’utilizzo di un montaggio che non riveli più l’articolazione della struttura (come succede per esempio nel più debole Captive che cerca di tornare alle origini) mantenendo nell’inquadratura, anche singola, la stessa complessità polifonica di cui si parlava, ha uno spartiacque ben preciso nel Tv movie realizzato dal regista all’inizio del nuovo millennio, l’adattamento de L’ultimo Nastro di Krapp.

L’ebreo Zev (Christopher Plummer) ricoverato in una clinica per anziani e affetto da demenza senile, decide di intraprendere un viaggio a ritroso alla ricerca del criminale nazista che ha sterminato la sua famiglia e quella di Max (Martin Landau) paziente ebreo dello stesso istituto, costretto su una sedia a rotelle. Sarà il secondo a vergare una lettera manoscritta con alcune istruzioni per rintracciare l’ex SS, ora residente in America. Zev non ricorda gli eventi a breve termine, e qualsiasi occorenza, inclusa la morte della moglie Ruth, deve essergli costantemente segnalata; la lettera diventerà quindi uno strumento importante per ricordarsi ogni giorno il senso del viaggio che sta per intraprendere, l’obiettivo e le radici del suo dolore.

Come Beckett con Krapp Remember rileva la catalogazione di una memoria bloccata, non importa a chi appartenga veramente, perchè in questo thriller rallentatissimo che come ha raccontato lo stesso Egoyan si assesta sui ritmi della vita del protagonista, quelli di una persona anziana, il movimento di Zev nel tempo è ostinatamente declinato al presente. Una conseguenza dell’esser ancora dentro e fuori dall’alzheimer che non gli consente di distinguere i morti dai vivi, ma anche il modo in cui Zev stesso entra in uno spazio fisico gravido di ricordi come se fossero bobine registrate a cui non è in grado di dare una collocazione.
Tutta la sequenza in cui Christopher Plummer entra nella camera-museo allestita con i cimeli nazisti sembra attivare la creatività del ricordo, ma è in realtà uno dei percorsi possibili che il finale già discusso del film può riattivare solo se lo riavvolgiamo come un nastro.
Il valore di quel segmento temporale, come in tutto il cinema di Egoyan ha la flagranza degli oggetti, ma anche la forma ambigua e falsificante della memoria, che cambia continuamente in base al punto di osservazione.
Zev quindi è per lo meno quattro persone con quattro storie diverse: un anziano che non può ricordare, un ebreo in cerca di vendetta, un esecutore guidato da un burattinaio di cui non conosce gli scopi e per il quale intepreta il tempo in modo passivo, un uomo che vive la propria vita a ritroso, anche se è convinto di declinarla linearmente al presente, la cui percezione è stata annichilita da un trauma.
Egoyan lavora quindi sul depotenziamento della tensione, ma spostando questo stesso potenziale sugli improvvisi svuotamenti, sul passo incerto di uno straordinario Christopher Plummer, sulla sua incapacità di tenere in mano un arma, sulle sue continue dimenticanze, tra passaporto scaduto, pistola lasciata sull’autobus e la lettera di una nuova storia nel suo farsi che passa di mano in mano, dall’ufficio immigrazione ad una bambina.
Gli Ex nazisti, chi appena si ricorda la notte dei cristalli e chi invece era li da bambino a sfondare una delle 7500 vetrine ebraiche senza sapere il perchè e con il ricordo di un momento eccezionale, fanno parte di questo mondo di relitti che emerge come un eco lontana in una ricerca che non recupera il tempo perduto, ma avvicina sempre di più il ricordo alla cancellazione.

Ricordare è il nero dell’immagine.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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